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Silenzio assenso - archivio |
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Abolita
la norma del silenzio-assenso |
3
marzo 2006 |
"Nel
codice dei beni culturali da ieri non è più presente la norma sul silenzio-assenso.
Il consiglio dei ministri, infatti, ha provveduto ad apportare alcune modifiche
su proposta del ministro Buttiglione. Secondo Giovanna Melandri (ds) è una
buona notizia «la cancellazione della vergognosa norma del silenzio-assenso che,
in questi ultimi cinque anni, ha fatto correre costantemente il rischio che lo
Stato svendesse beni pubblici di alto valore storico, artistico e culturale mortificando
il ruolo di tutela del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali». Questa
modifica del Codice, conclude la Melandri, «è soprattutto il risultato di tenaci
e ostinate battaglie delle associazioni di tutela, e anche dell'opposizione parlamentare,
che hanno denunciato instancabilmente i pericoli del silenzio-assenso. La soluzione
a cui si è arrivati è stata strappata con fatica e in zona Cesarini a un governo
che ha letteralmente maltrattato il nostro patrimonio storico-artistico».
Tra le altre novità l'introduzione di un elenco per i restauratori e l'elevazione
del loro diploma al rango di laurea. L'Unità,
03/03/2006 |
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Settis
a Lunardi: de profundis |
9
maggio 2005 |
"Il
ministro Lunardi mi ha fatto la cortesia non solo di discutere con me e con Francesco
Ghedini (ordinaria d'archeologia a Padova) il disegno di legge sull'archeologìa
preventiva, ma anche d'accogliere alcune mie osservazioni. Gli dò perciò atto
volentieri del suoimpegno in tal senso, e mi rammarico con lui (e coi suoi colleghi
Urbani e Buttiglione) che quelle norme non siano entrate nel decreto-legge sulla
competitività. Ma se esse, come dalla sua lettera risulta chiaramente, sono l'opposto
del devastante emendamento che dà ad un Commissario straordinario potere di vita
e di morte non solo sull'archeologia, ma sull'ambientee il paesaggio, non capisco
perché tale emendamento non possa essere ritirato subito dal governo, visto che
l'iter parlamentare del decreto-legge non è concluso. Questa norma incrina e snatura
non solo la legge sull'archeologia preventiva (di là da venire), ma il Codice
dei Beni culturali (in vigore da appena un anno), nonchéla Costituzione. Perché
rimandare ad un futuro indeterminato in cui "correggere" il silenzio-assenso,
e non cancellarlo domani? Perché una norma pessima va approvata subito, e quelle
ottime devono aspettare ? SALVATORE
SETTIS - la Repubblica 9 maggio 2005. |
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Lunardi a Settis: delenda carthago |
9
maggio 2005 |
"Caro
Settis, quello che ho dichiarato in occasione d'una interessante scoperta archeologica
nei pressi dell'autostrada Roma-Napoli in località Aquino, sul successo di questo
rinnovato modo di lavorare da parte del dicastero delle Infrastrutture dei Trasporti
con quello dei Beni culturali, di questo nuovo approccio metodologico mirato ad
evitare che la realizzazione d'infrastrutture distrugga e comprometta il nostro
Dna storico e culturale, non può in nessun modo esser incrinato da una norma o
da norme che snaturino la logica e l'impostazione strategica che il mio dicastero,
insieme a quello dei Beni culturali ha cercato di darsi, sin dall'inizio di questa
legislatura, attraverso proprio una apposita Commissione che ha il compito di
legare le grandi infrastrutture al progresso della conoscenza e della valorizzazione
dei nostri beni culturali. Pertanto era intenzione mia e del collega Urbani, e
ora anche del collega Buttiglione, inserire nel decreto legge sulla "competitività"
una apposita norma sull"archeologia preventiva": una norma su tutte quelle azioni
necessarie a garantire e asancire la forza e la incisività del nostro patrimonio
archeologico. Ciò purtroppo non è stato fatto. Quindi assieme a Buttiglione abbiamo
deciso di presentare un'apposita norma dedicata appunto all'"archeologia preventiva".
In tale strumento correggeremo quanto detto sul "silenzio assenso" nel decreto
sulla "competitività", chiarendo che tale procedura non può essere invocata in
presenza di rilevanze psicologiche e di beni culturali e paesaggistici. Non è
mia intenzione e non è intenzione di questo governo effettuare "un colpo di mano
contro il Bel Paese". PIETRO
LUNARDI - La Repubblica, 09/05/2005 |
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silenzio-assenso
sulle opere pubbliche |
7
maggio 2005 |
"Deve
velocemente cambiare idea chi si illudeva che avesse vinto la vasta sollevazione,
nella stampa e nel Paese, contro alcune norme del decreto-legge sulla competitività
che, in spregio alla Costituzione, miravano a scardinare i principi della tutela
dei beni culturali e del paesaggio. Come questo giornale ha reso noto per primo
il 22 febbraio, i punti "caldi" erano 3: l'applicazione ai procedimenti di tutela
sia del meccanismo del "silenzio-assenso" che della "d. i. a." (dichiarazione
d'inizio attività). INFINE i poteri in deroga a qualsiasi normativa di tutela,
conferibili a un Commissario straordinario alle grandi opere pubbliche. Si susseguirono
allora dichiarazioni confuse e contraddittorie del governo (evidenziate in un
secondo articolo su questo giornale l'8 marzo), mentre il 10 marzo una lettera
al giornale del portavoce del ministro Baccini, Francesco Sanseverino, smentiva
tutto (contro ogni evidenza) e proclamava "l'esclusione dei beni ambientali e
paesaggistici dal provvedimento all'esame del governo". L'11 marzo un comunicato
del ministero dei beni culturali dichiarò che era stata "definitivamente chiarita
la non applicabilità della regola del silenzio-assenso alla delicatissima tutela
dei Beni culturali e paesaggistici", e di fronte a nuovi dubbi e proteste un altro
comunicato (12 aprile) ribadì "che i procedimenti finalizzati alla tutela sono
esclusi dai casi di silenzio-assenso previsti dal disegno di legge sulla competitivita".
Il nuovo colpo di mano arriva ieri, 4 maggio, nell'aula del Senato. Come si può
vedere sull'ottimo sito web dello stesso Senato, la nuova versione del comma 11
dell'art. 5 del disegno dilegge (nr. 3344), approvata come parte del "maxiemendamento",
reintroduce in pieno i poteri del Commissario Straordinario alle grandi opere
pubbliche, già presenti in una prima versione e poi ritirati dal governo. Il Commissario,
recita la nuova versione, "per assicurare il rispetto della normativa in materia
di tutela ambientale e paesaggistica acquisisce il parere delle competenti amministrazioni,
che deve essere espresso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine,
il Commissario procede comunque nell'esecuzione dell'opera". Se poi un Soprintendente
testardo provasse a opporsi ancora oltre la mannaia dei sessanta giorni, allora
il Consiglio dei ministri "può deliberare lo stato di emergenza, conferendo ai
Commissario i relativi poteri". Questo nuovo travestimento del silenzio-assenso,
in vesti anzi ancor più aggressive, non è una minaccia remota: vi sono infatti
assoggettati tutti gli "interventi infrastrutturali strategici e urgenti", e in
particolare i lavori già previsti nell'ambito delle concessioni autostradali in
tutta Italia. Occorre dunque ripetere, a orecchie che non vogliono sentire, che
questa norma è sfacciatamente anticostituzionale, in quanto da la priorità agli
interessi economici su quelli della tutela, sancitidall'art. 9 della Costituzione
come uno dei principi fondamentali della Repubblica. Occorre ripetere che una
serie di coerenti e cogenti sentenze della Corte Costituzionale hanno ribadito
che l'art. 9 comporta "la primarietà del valore estetico-culturale", che non può
essere "subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici", e pertanto
dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (nr.
151/1986). Precisamente il contrario della ratio politica e giuridica dell'emendamento
pervicacemente reintrodotto nel provvedimento sulla competitività. Si conferma
dunque la troppo facile profezia che, una volta approvato il Codice dei beni culturali,
lo stesso governo ne avrebbe tentato la progressiva demolizione mediante leggi
e leggine, articoli in decreti-omnibus, commi di questa o quella Finanziaria,
eccezioni e deroghe. Basti ricordare gli sgangherati condoni in materia paesaggistica
e ambientale (approvati) e la proposta di indiscriminata sanatoria per tombaroli
e trafficanti di antichità, che si era tentato di inserire surrettiziamente nella
Finanziaria 2005, provando per l'occasione a sospendere persino la validità di
alcuni articoli del Codice Penale. Per il momento quel disegno appare sventato,
ma l'on. Gianfranco Conte (Forza Italia), che ne è il principale fautore, lo ha
presentato anche come legge ordinaria, e potrebbe riprovare con un emendamento
nella Finanziaria di quest'anno, tanto più che nel frattempo è diventato membro
del terzo governo Berlusconi, in qualità di Sottosegretario ai rapporti col Parlamento.
Il nuovo ministro deiBeni culturali Rocco Buttiglione ha appena dato buona prova
di sé garantendo pubblicamente che intende restituire Palazzo Barberini all'uso
museale per cui fu acquistato dallo Stato nel 1949, e che rispettando il patto
(1997) col ministero della Difesa il Circolo Uficiali libererà prestissimo la
parte che ha occupato fino al 1965 in modo legittimo, e negli ultimi quarant'anni
in regime di prorogatio che s'è autoconcessa. Vedremo che cosa accadrà, e in che
tempi (anche perché intanto il generale Stefanon, che dirige il Circolo, ha dichiarato
al Messaggero del 6 maggio che non ha nessuna voglia d'andarsene). Pacta sunt
servanda, ha dichiarato comunque Buttiglione: a maggior ragione è da sperare che
egli si erga ora, come già aveva fatto il suo predecessore Giuliano Urbani, a
difesa dei principi di tutela, parte essenziale non solo del Codice dei Beni culturali,
ma - prima ancora-del massimo patto che regge la Repubblica, la Costituzione." Salvatore
Settis - La Repubblica, 07/05/2005 |
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Silenzio-assenso:
DL competitività |
5
maggio 2005 |
"Il
principio suona rivoluzionario: d'ora in poi chiunque avanzi una richiesta a un'amministrazione
pubblica deve ricevere una risposta entro novanta giorni, dopo di che si deve
intendere che la risposta è positiva. È il principio del silenzio-assenso, approvato
martedì dal Senato all'interno del decreto sulla competitività (fra pochi giorni
il voto definitivo della Camera). Vista la proverbiale lentezza della burocrazia
italiana è facile immaginare chela scadenza dei tre mesi sarà spesso superata.
Detto così sembra chissà che: si apriranno tutte le porte per le imprese che devono
ottenere un qualsiasi permesso? E per i cittadini che chiedono un alloggio popolare,
o il riconoscimento di un'invalidità, o un porto d'anni? Chiedete e vi sarà dato?
Forse non è così, anzi forse è proprio il contrario. A leggere bene il testo del
provvedimento, e a sentire il parere di qualche giurista, sembra di capire che
gli effetti pratici di questa legge saranno molto ridotti. Per almeno tre motivi:
perché il campo d'azione del silenzio-assenso è stato prudentemente limitato;
perché nei prossimi mesi saranno varati una serie di regolamenti che specificheranno
ancora meglio i casi in cui effettivamente la non risposta può equivalere a un
sì; e infine perché in ogni caso per le aziende (principali destinatarie di questa
misura) il silenzio-assenso può rivelarsi un'arma spuntata. Le esclusioni. Nelle
scorse settimane si era aperta un'accesa polemica sulla riforma annunciata dal
governo. L'allarme ha riguardato soprattutto la tutela del paesaggio, dell'ambiente
e del patrimonio artistico-archeologico-monumentale. Con il silenzio-assenso,
è stato detto, si aprirà una nuova stagione di edilizia selvaggia. Inoltre sono
stati sollevati altri timori: le autorizzazioni per mettere in commercio nuove
medicine, il porto d'armi, il permesso di soggiorno agli immigrati clandestini;
sarà possibile far valere anche in questi casi il silenzio-assenso? Per tranquillizzare
tutti, il governo ha preferito precisare che il principio non si applica agli
atti «riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa
nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità».
Nei prossimi mesi poi il governo individuerà un'altra serie di procedimenti su
cui non sarà possibile applicare la regola, dei novanta giorni. L'autotutela.
Ciò che comunque limiterà moltissimo l'effettiva utilità del silenzio-assenso,
è un altro comma della stessa legge. È quello che prevede il principio dell'“autotutela”:
anche se si sono superati i novanta giorni, l'amministrazione avrà sempre il diritto
di intervenire. In altre parole, il silenzio-assenso vale fino a un certo punto.
L'ex ministro Franco Bassanini, senatore dei Ds, l'ha spiegato con un esempio:
«L'imprenditore costruisce uno stabilimento avvalendosi del silenzio-assenso;
dopo un anno l'amministrazione si accorge che la sua richiesta violava una legge
o non rispettava il piano regolatore, e lo obbliga a smantellare tutto. È chiaro
che prima di partire l'imprenditore preferirà aspettare l'arrivo di un pezzo di
carta». Il
Messaggero, 05/05/2005 |
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Le
Soprintendenze non ce la faranno |
24
febbraio 2005 |
"La
legge di cui dovrà discutere la Camera entro pochi giorni lascia intravedere un
quadro a tinte fosche, soprattutto in quelle regioni d'Italia dove i beni artistici
non sono ancora ben catalogati e definiti, in un contesto in cui la politica culturale
del governo naviga a vista in un mare di ristrettezze economiche e di contraddizioni.
Perché se da un lato le funzioni di controllo degli organismi statali sono decapitate,
al tempo stesso il governo aumenta il numero delle Soprintendenze, come nel caso
toscano. «La legge, di per sé, non sarebbe sbagliata» dice la dottoressa Burresi
della Soprintendenza di Pisa «se non fosse che manca il personale, al punto che
qualche volta dobbiamo tenere a contratto dei pensionati per avere alcune consulenze».
E' quel che dice anche Settis, che parla di «funzionari di altissima qualità,
che sulla base di una legge dello scorso agosto avevano dichiarato la loro disponibilità
a rimanere in servizio per alcuni anni e che sono stati messi alla porta poche
settimane fa». Il direttore della Normale fa anche alcuni esempi, tra cui quello
di Maria Augusta Timpanaro dell'Archivio di Stato di Pisa e di Annamaria Petrioli
Tofani degli Uffizi di Firenze. La dottoressa Tofani non parla del suo caso, ma
si associa all'allarme di Settis: «Si è persa - spiega - la percezione del patrimonio
artistico nazionale come identità della natura e della personalità dell'Italia.
Si stanno vendendo i gioielli di famiglia ed è come se ci tagliassimo le possibilità
di respirare. Si sta correndo dietro ad una modernizzazione e una monetizzazione
che avranno conseguenze nefaste. E questa diffusa noncuranza dell'immagine culturale,
che di per sé sarebbe già insopportabile, ci toglierà grandi risorse anche sul
piano del ritorno economico». La legge estende la "Dia", acronimo che sta per
dichiarazione di inizio attività, una sorta di autocertificazione dei proprietari,
ai beni sottoposti al vincolo artistico e architettonico. «Con le Soprintendenze
ridotte come sono - dice la dottoressa Tofani - il silenzio delle amministrazioni
probabilmente non sarebbe dettato da una scelta, ma dall'impossibilità di intervenire
entro il limite dei due mesi. Dunque si vuole sottrarre alla legge una materia
così delicata e importante per lasciarla gestire al buon senso degli individui.
Il Codice Urbani è già abbastanza liberista, ma introdurre il silenzio-assenso
vorrebbe dire rovesciare i termini del problema e vanificare ogni controllo». G.F.
Tirreno, 24/02/2005 |
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DIA
e silenzio assenso |
22
febbraio 2005 |
"Intervista
al soprintendente Luciano Marchetti «Uffici già in affanno per le cartolarizzazioni»
All'esame del Parlamento sta per arrivare una legge basata sul principio del
silenzio-assenso che nei fatti rischia di fare piazza pulita di tutti i vincoli
di tutela sui beni culturali di proprietà privata. Chi vuole, potrà vendere
e disperdere una preziosa collezione di dipinti o ristrutturare un palazzo storico
a proprio piacimento, magari stravolgendolo. Tutto sarà possibile attraverso
la Dia (Dichiarazione di inizio attività): basterà un'autocertificazione e
se entro due mesi le soprintendenze competenti non avranno espresso un parere
negativo, le carte saranno in regola. Finora da questa prassi erano esclusi i
beni culturali. Se la normativa per la "Semplificazione della regolamentazione"
- così si chiama - quest'eccezione sarà cancellata. Una possibilità duramente
denunciata da Salvatore Settis, storico e archeologo, autorevole voce del mondo
della cultura, con il quale si schiera anche il direttore regionale per i Beni
Culturali e Paesaggìstici del Lazio, Luciano Marchetti. Professore, a cosa si
va incontro? Se questa norma venisse approvata, non saremmo in grado di rispondere
in tempi utili. Capisco la necessità del privato di avere tempi certi nell'avvalersi
delle procedure, ma se lo Stato non può sostituire il personale che va in pensione,
con il turn-over bloccato, il funzionamento degli uffici diventa ancora più affannoso.
Tutti faranno quello che vogliono e non è accettabile. Va trovata una soluzione.
E quale potrebbe essere? Definire i tipi di intervento, facendo una graduatoria
e riducendo quelli possibili negli edifici sotto tutela. E trovare una soluzione
amministrativa per potenziare il personale. Una rivoluzione rispetto a ciò che
è stato fatto finora. Si, ma è l'unica cosa da fare se non si vuole che i tempi
scadano sempre e che nessuno risponda in tempo utile. E cosa potrebbe succedere?
Ad esempio, se ho una stanza decorata da affreschi e voglio ripulire la mia casa,
faccio la Dia dicendo che la imbianco e gli affreschi spariscono. Se sono cattivo,
posso anche rifare l'intonaco: quando l'amministrazione riesce ad intervenire,
il danno ormai è fatto. Le problematiche del restauro sono troppo complesse per
rientrare in una regolamentazione così generale. Inoltre i vostri uffici sono
alle prese anche con altre pratiche su cui pende il silenzio-assenso. Infatti,
siamo già in grande affanno per rispondere alla norma sulla vendita dei beni pubblici
ricompressa nel Codice Urbani. Cosa in cui riusciamo a fatica. Se poi si sommano
altre scadenze inderogabili... Sono molti i procedimenti daprendere in esame?
Basta pensare che anche l'Ater ha la necessità di vendere e tutto passa attraverso
le soprintendenze. E i funzionari sono sempre gli stessi. Bisognerebbe almeno
poter ripartire il lavoro in temp più lunghi. Adesso quali sono le risorse di
personale di cui disponete? Contando i funzionari di tutte le soprintendenze,
nel complesso ce ne sono 22 per tutta Roma e 25 per tutto i Lazio, che si occupano
delle pratiche che riguardano gli edifici. Ma quali sono i motivi che stanno dietro
la nuova norma? Beh, è di iniziativa parlamentare e non governativa. Nasce per
tutelare i diritti dei cittadini, ma finisce col non tutelare i beni culturali." 24-FEB-2005
- L'Unità
Roma |
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Il
massacro delle soprintendenze |
22
maggio 2004 |
"Il
convegno promosso da Italia Nostra Italia da salvare tenutosi nella sala
della Protomoteca in Campidoglio è dedicato alla tutela dei beni culturali
e ambientali. I lavori si sono svolti nel segno della protesta: contro le nuovi
leggi che indeboliscono la tutela, dal codice alle leggi delega e obiettivo,
contro le nuovissime nomine del personale addetto alla tutela, emanate venerdì
dal Ministero. “Oltre alla moltiplicazione delle cariche di direttore generale
che non farà che complicare e appesantire la struttura burocratica – ha detto
nella sua relazione la presidente dell’associazione, Desideria Pasolini dall’Onda-
assistiamo a delle scelte regionali punitive nei confronti di quei soprintendenti
che avevano coraggiosamente denunciato la regola capestro del silenzio-assenso
presente nel Codice Urbani e all’insediamento di personale amministrativo in ruoli
che dovrebbero essere strettamente essere tecnico-scientifici”. E’ il caso di
Mario Turetta, fino a ieri capo della segreteria di Urbani, che è stato nominato
soprintendente per il Piemonte, di Marchetti che sostituisce Martines nel Lazio,
un ingegnere senza formazione specifica per quel ruolo, e di numerosi altri. Francesco
Scoppola poi, il soprintendente delle Marche che aveva denunciato il silenzio-assenso
proprio ad un convegno di Italia Nostra è sparito dall’organigramma, mentre altri,
come il soprintendente della Toscana Lolli Ghetti, sono stati spostati in soprintendenze
di minor prestigio. Al convegno era presente la presidente dell’Assotecnici, Irene
Berlingò: “La riforma del ministero e il Codice Urbani – ha detto – fanno parte
della stessa manovra organica, stiamo assistendo allo smantellamento della tutela
territoriale, che è stata un caposaldo della conservazione del nostro patrimonio”.
Al convegno hanno parlato numerosi rappresentanti delle associazioni ambientaliste
e di tutela, giuristi, storici dell’arte e urbanisti, tutti d’accordo sui pericoli
che corre il nostro patrimonio culturale e ambientale nel quadro della nuova normativa.
Italia
Nostra –Comunicazione Nanni Riccobono- 3286195061 Lorenzo Misuraca - 3389691517. |
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Sopr.
sepolte da milioni di schede |
28
aprile 2004 | "Il
nuovo codice dei Beni culturali e del Paesaggio, voluto dal ministro Giuliano
Urbani. A leggere i 184 articoli del Codice si ha l'impressione che un secolo
di lavoro delle soprintendenze, un secolo di tutela venga messo completamente
in discussione. C'è il rischio che l'Italia perda la sua immagine e la sua storia
in favore di un esercito di speculatori. A
leggere
i 184 articoli del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio appena varato si
ha l'impressione che un secolo di lavoro delle Soprintendenze, un secolo di
tutela, venga messo completamente in discussione. Prendiamo l'articolo 12
«verifica dell'interesse culturale»: sono naturalmente gli organi del ministero
a verifìcare la «sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico,
eccetera», ma quando si passa ai «beni immobili» dunque alle architetture, la
tutela viene determinata dalla «predisposizione degli elenchi» corredati da «schede
descrittive»; se da queste schede risulta che le strutture non sono di interesse
artistico, storico, archeologico, si procede alla «demanializzazione» ed esse
diventano «liberamente alienabili». E in base alle norme contenute nella Finanziaria
ora bastano 120 giorni di silenzio-assenso delle competenti Soprintendenze
per vendere. Ma di che schede si tratta? Chiunque penserebbe che vengano mantenute
in vigore tutte le vecchie schede di catalogazione delle Soprintendenze, molti
milioni, e che si discuta solo dei beni non schedati. Nulla di tutto questo: si
riparte con delle nuove schede, che non si sa bene con che competenze saranno
redatte. Non solo: chi farà le schede dei beni architettonici, visto che 200 funzionari
delle Soprintendenze non bastano di certo a schedare circa 150 milioni di oggetti
e decine di milioni di strutture passibili di tutela ? La sola possibilità sarebbe
di chiamare le centinaia di specializzati e di dottori di ricerca in storia dell'arte
che, solo se collegati ai Dipartimenti dei Beni Culturali delle Università e ai
loro docenti, garantirebbero una rapida verifica delle schede esistenti e la precisa
redazione delle nuove. Ma nella legge di questo non si parla, anzi le Università
sono quasi del tutto emarginate, e lo sono persino dai corsi di formazione dei
restauratori, in contraddizione con la vigente legge proprio sulla formazione
nelle Università dei restauratori stessi. Per capire come funziona la legge in
fatto di «conservazione» veniamo all'art.21: «interventi soggetti ad autorizzazione
del ministero» e consideriamo il caso della «demolizione delle cose costituenti
beni culturali», cioè di un edificio monumentale. La risposta viene dall'art.22:
per avere l'autorizzazione chi vuole distruggere l'edificio, smembrarlo, manometterlo,
chiede alla Soprintendenza l'autorizzazione; la risposta deve venire in 120 giorni,
ma l'ufficio può chiedere chiarimenti e fare accertamenti in 30 giorni, se non
lo fa il richiedente diffida la Soprintendenza, e se l'ufficio tace per altri
30 giorni la richiesta di demolizione, o altro, è approvata. Direte: ma hanno
ben sei mesi di tempo, dunque hanno un tempo enorme. Non è vero! Le Soprintendenze
hanno pochissimi architetti e funzionari esperti, ciascun ufficio smaltisce ogni
anno almeno 40-50 mila pratiche, adesso dovrebbero fronteggiare un numero
enormemente superiore di richieste, non potranno fare nulla. Siamo davanti
a una programmata sanatoria anticipata. Ecco perché si stanno vendendo a centinaia
immobili del demanio dello Stato di preciso interesse storico-artistico. Forse
salveranno l'edilizia supposta di qualità, ma il tessuto no, quello, certo, sarà
cancellato. Si sa, abbiamo da sempre tutelato l'antico e il Rinascimento, stavamo
adesso a fatica recuperando il Medioevo, ma chi salverà l'architettura civile
dell'800, il Liberty, l'architettura fascista, quella industriale, quella delle
poche nostre avanguardie? Con questa legge, davvero, nessuno. Dunque serve subito
un completo rovesciamento: si devono mantenere inalienabili tutti i beni demaniali,
si deve coinvolgere nella loro catalogazione e analisi l'Università, si deve affidare
il lavoro di tutela a commissioni di veri esperti, storici dell'architettura,
storici dell'arte, sopraintendenti uniti. Ricordiamolo: quattro generazioni di
sopraintendenti, da Corrado Ricci a Adolfo Venturi, da Giulio Carlo Argan a Cesare
Gnudi, a Cesare Brandi, a Fernanda Wittgens hanno speso le loro vite per tutelare
oggetti e ambiente. Adesso stiamo per assistere alla dissoluzione di tutto quel
sistema culturale. L'Italia perderà la sua immagine e la sua storia. Magari in
favore di un esercito di speculatori Arturo
Carlo Quintavalle Corriere della Sera, 28/4/2004. |
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Soprintendenti
con 1870 pratiche al giorno |
12
gennaio 2004 | "La
verifica forzata in soli 120 giorni del valore culturale del patrimonio immobile
e mobile vincolato dallo stato cancella il regolamento n.283 del 2000 con cui
si ribadiva l'inalienabilità dei beni culturali e ambientali pubblici con le eccezioni
consentite dalle soprintendenze sulla base di elenchi che si stavano ancora compilando
(avevano per legge due anni di tempo per questo lavoro). Ora tutti i beni sono
vendibili salvo quelli che abbiano in poche settimane un «motivato parere» contrario
delle soprintendenze, onere che andrebbe a gravare su organici già scarsi che
non potranno mai smaltire questo lavoro. Le associazioni allora ricordano l'enorme
patrimonio che le soprintendenze sono chiamate a salvaguardare: 574 tra musei,
monumenti, gallerie e scavi dello stato, 216 aree archeologiche; circa 3000 gli
altri musei (ecclesiastici, universitari, privati, ecc); 100mila chiese e cappelle
con arredi artistici, 40000 torri, rocche e castelli, 20mila centri storici, 1500
monasteri, le biblioteche, gli archivi, parchi e giardini anche non statali sui
quali le soprintendenze devono esercitare vigilanza e controllo. Ecco alcuni casi
emblematici per far capire la mole di lavoro che grava sui soprintendenti ai beni
architettonici e ambientali (che devono anche fare sopralluoghi e svolgono attività
di ricerca, di scavo, di studio e realizzazione di restauri) e quindi come la
scadenza dei 120 giorni - altrimenti scatta il silenzio assenso - sia in realtà
un modo per far passare di tutto. In Sardegna, 7 architetti alla soprintendenza
hanno un carico di 7600 pratiche all'anno; in Liguria 9 architetti hanno 16.800
pratiche, circa 1870 a testa all'anno. I concorsi di settore si sono rarefatti
(per non dire scomparsi), i precari sono 2300. Un tecnico di livello elevato con
25 anni di carriera non raggiunge i 1500 euro al mese." Il
Manifesto, 21/1/2004 |
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Nuovi
elenchi: vale il silenzio assenso
| 12
gennaio 2004 | "Questione
di giorni. Appena il tempo di vedere pubblicato in «Gazzetta» il decreto Beni
culturali-Difesa-Demanio con i criteri per elencare e descrivere gli immobili
di pregio artistico. Poi, entro i successivi 30 giorni, si metterà in moto la
procedura per verificare la sussistenza o meno dell'interesse culturale del "mattone
tutelato". Entro un mese, infatti, l'agenzia del Demanio dovrà trasmettere,
alle soprintendenze competenti per territorio, gli elenchi degli immobili di proprietà
dello Stato (o del demanio statale) da sottoporre a vantazione. La
novità, in materia di alienazione dei beni artistici, è arrivata con l'articolo
27 della legge 326/2003 (di conversione del cosiddetto decretone, contenente
una consistente tranche della manovra economica per il 2004). L'obiettivo dichiarato
è passare al vaglio il patrimonio pubblico (a cominciare da quello statale) di
«interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico» in modo da continuare
a tutelare quello che merita di esserlo. E classificare come vendibile tutto il
resto. La valutazione sarà a carico delle soprintendenze le quali, se vorranno
evitare che scatti il silenzio assenso, dovranno completare l'esame entro il tanto
discusso termine di 120 giorni dalla richiesta. «Il decreto interministeriale
che dovrà stabilire i criteri per predisporre gli elenchi e le modalità di redazione,
oltre alle procedure per la loro trasmissione, sarà firmato al più presto, non
appena avrà ricevuto il nulla osta dell'ufficio legislativo dei Beni culturali».
Lo assicura Roberto Cecchi, direttore generale dei beni architettonici e del paesaggio,
e incaricato dal ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, di portare avanti
l'iniziativa in coordinamento con il Demanio e con il ministero della Difesa (per
quanto riguarda le strutture ancora in uso ai militari). Il provvedimento attuativo
è previsto dal comma 9 del citato articolo 27 della legge 326/2003. In più, il
solo ministero dei Beni culturali dovrà stabilire gli «indirizzi di carattere
generale» in base ai quali le soprintendenze dovranno eseguire la famosa verifica.
Per definire queste linee guida la legge 326/2003 (articolo 27, comma 2) non prevede
limiti di tempo, né indica un provvedimento particolare. Tuttavia, fa capire Cecchi,
su questa materia non si devono attendere novità sostanziali rispetto alle procedure
tuttora vigenti. «Le soprintendenze hanno già eseguito in passato valutazioni
per stabilire l'alienabilità o meno di molti immobili, applicando il Dpr n. 283
del 2000 -ricorda sempre Cecchi -. Credo che non ci sia molto da aggiungere rispetto
a questa norma». Il riferimento è al decreto del Presidente della Repubblica,
che in 24 articoli riassume il «Regolamento recante disciplina delle alienazioni
di beni immobili del demanio storico e artistico». Ma, soprattutto, il dirigente
dei Beni culturali assicura che non si verificherà alcun ingorgo tale da paventare
il rischio di far scattare il silenzio-assenso sui beni che meritano di restare
di proprietà pubblica. «Questo rischio - sottolinea sempre Cecchi - sarà evitato
grazie a un coordinamento strettissimo con il Demanio. In sostanza faremo in modo
che le soprintendenze non vengano "sommerse" oltre misura dalle richieste di valutazione».
Le nuove norme sulla alienazione dei beni culturali contengono anche una sorta
di veto in grado di impedire la cessione. Il comma 4 del medesimo articolo
(modificato in sede di conversione del decretone) prevede infatti la possibilità
che «ragioni di pubblico interesse» possano impedire la sdemanializzazione. Tali
ragioni vanno valutate «da parte del ministero interessato». Quest'ultima
specificazione (aggiunta alla norma in sede dì conversione del decretone) sembra
andare a vantaggio principalmente del ministero della Difesa, che in tal modo
si vede riconosciuto un estremo appiglio per cercare di evitare la cessione di
beni. Quanto alla lista degli asset vendibili, a essi verrà data la massima pubblicità,
anche all'interno del sito del dicastero di Giuliano Urbani." Sole
24 ore, 12/1/2004 |
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Emendamento
27.80 | 31
ottobre 2003 |
"Rita
Borioni e Alessandra Untolini ci inviano questa nota estremamente allarmante sul
maxi emendamento approvato il 30 ottobre dal Senato. Non vi erano dubbi che, anche
prima dei famigerati emendamenti del Senatore Tarolli e del maxi emendamento approvato
oggi dal Senato con il voto di fiducia, l'intento dell'articolo 27 del decretone
che accompagna la Finanziaria, fosse quello di svendere la maggior quantità possibile
del nostro patrimonio culturale, mobile e immobile. Mettere in affanno i soprintendenti,
chiedendo loro di esprimere nel termine di 30 giorni - ma se sono 120 la sostanza
non muta - un parere sulla sussistenza di qualità artistiche sui circa 50 mila
beni immobili del demanio è di per sé un affronto alla professionalità dei
soprintendenti alla dignità del nostro patrimonio e al diritto alla fruizione
di tutti i cittadini. Se tutto questo non bastasse, si legge tra le righe di quegli
emendamenti una devastante inconsapevolezza - per non chiamarla ignoranza - sulle
leggi che regolano la tutela del patrimonio culturale nazionale. L'emendamento
27.80 - assorbito nel maxi emendamento -dice in sostanza che l'accertamento positivo
costituisce dichiarazione ai sensi degli articoli 6 e 7 del Testo Unico.
Si trascura qui il non "piccolo particolare" che tali norme riguardano esclusivamente
la dichiarazione di particolare interesse dei beni di proprietà dei privati. L'applicazione
di tale norma ai beni pubblici condurrebbe ad un paradosso drammatico e ridicolo.
Ci siamo domandate a chi diamine il soprintendente dovrebbe
notificare il provvedimento di vincolo sui beni pubblici. Il che non
è un problema da poco considerato che il provvedimento di dichiarazione ha efficacia
solo se viene notificato al proprietario del bene. Lo notificherà al Presidente
della Repubblica che rappresenta tutti i cittadini e le cittadine ? O forse al
presidente del consiglio? A ciascun singolo cittadino? O infine lo dovrà invece
notificare a se stesso in quanto detentore dei beni? È noto a coloro che hanno
redatto questo emendamento che il proprietario del bene, in caso di inosservanza
delle prescrizioni di tutela,è soggetto a sanzioni di carattere penale? Ed in
quel caso chi diventerebbe ospite delle patrie galere? Sempre che esse nel frattempo
non siano state alienate." 31/10/2003
- PatrimonioSOS | |
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"il
collasso" delle soprintendenze |
29
ottobre 2003 | "Silenzio-assenso,
si rischia la svendita coatta" Torna il silenzio-assenso sulla cessione degli
edifici pubblici? Anche se da 90 giorni il termine passa a 120, per le soprintendenze
saranno problemi gravissimi, dice l'architetto Ruggero Martines, 51 anni,
responsabile, dal 2002, di quella regionale per il Lazio. Dati concreti: la sua
struttura, su quante persone può contare? «Dodici in tutto. Di cui due architetti,
un archeologo, uno storico dell'arte, un funzionario amministrativo». Quando vi
ritroverete alluvionati di pratiche, saranno dolori; un termine idoneo per
il silenzio-assenso, quale potrebbe essere, secondo lei? «Il
doppio dei giorni: 240. Ma il termine andrebbe anche accompagnato con lo stanziamento
di 240 miliardi di vecchie lire, 120 milioni di euro, per effettuare
un censimento che oggi non esiste, e diventa invece indispensabile. L'Italia non
possiede un catasto delle "cose belle"; quando lavoravo a Napoli con Giuseppe
Proietti, abbiamo svolto una campagna fotografica completa di quanto c'è sulle
isole del Golfo; ma questo è successo in pochi luoghi d'Italia. In passato, non
si sono apposti nemmeno i vincoli a moltissimi edifici pubblici: perché, tanto,
non potevano essere alienati». Quindi, adesso, è tutto da studiare? «Certamente
sì. Da quando sono arrivato, a Roma ho posto una cinquantina di vincoli: per esempio,
tutta via dei Fori Imperiali, gli ospedali storici, il Foro Italico». Cinquanta
immobili o opere vincolate, non lo era nemmeno il Colosseo, su quante che lei
ritiene di interesse rilevante sotto il profilo della cultura nella Capitale d'Italia?
«Solo a Roma, forse tremila; di cui almeno duemila sono
edifici pubblici, che ora rischiano d'essere ceduti».
Senza un vincolo, diventa possibile venderli a chiunque;
le risulta che stia per essere alienato anche l'immenso palazzo del Poligrafico
dello Stato, in piazza Verdi? «E' così, e non ci si può fare molto; appunto,
non è mai stato vincolato. Anche se è uno dei più straordinari esempi d'inizio
secolo, ancora più importante della Banca d'Italia edificata da Gaetano Kock:
progettato nel 1913 da un grande architetto come Garibaldi Burba, autore anche
del Villino Cagiati a via Orsini, di quello Macchi di Cellere a viale Giulio Cesare,
e di tante opere rilevanti a Fiuggi». Se sarà approvato il silenzio-assenso, in
che modo il ministero dei Beni culturali potrà correre ai ripari? «Stanziando
120 milioni di euro da affidare al dipartimento per l'Innovazione: che sta per
essere costituito: formando un Gruppo d'intervento speciale, che sopperisca alle
mille gravi lacune che oggi tante soprintendenze manifestano». Al Nord, risultano
tutte sguarnite di personale. Al Sud, i dipendenti non mancano: ma non sempre
sono di prim'ordine. Nel Centro Italia, tante persone al Ministero, poche negli
uffici periferici. In più, molti funzionari assunti, negli Anni 80, con scarsa
preparazione: grazie alle leggi sulla disoccupazione giovanile, o sul dopo-terremoto
nel Mezzogiorno; «a parte quelli per 600 posti alcuni anni fa, saranno cinque
lustri che il Ministero non bandisce dei concorsi». Infine, i continui tagli
inferti alle spese di funzionamento delle stesse soprintendenze: «Circa il 30
per cento negli ultimi quattro anni», dice Antonio Paolucci da Firenze. «Se
passa il silenzio-assenso, si rischia davvero un'autentica svendita coatta», conclude
Ruggero Martines.
Fabio Isman Il Messaggero, 29/10/2003 |
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"Vendita
in blocco" |
29
ottobre 2003 | "Per
la vendita del patrimonio culturale varrà il silenzio assenso dopo 120 giorni.
Alla fine l'Agenzia del Demanio e il ministero dell'Economia l'hanno spuntata.
Il maxiemendamento al decretone che accompagna la Finanziaria prevede il principio
del silenzio -assenso delle sovrintendenze per stabilire se un immobile pubblico
dev'essere considerato o meno un bene culturale. Di conseguenza, se può essere
venduto. Contro questo principio, contenuto in un emendamento presentato dal relatore
Ivo Tarolli, ma caldeggiato dal ministero dell'Economia, c'era stata la sollevazione
dell'opposizione e degli ambientalisti. Ma si erano levate voci contrarie anche
all'interno dello stesso governo, come quelle dei ministri dei Beni culturali
Giuliano Urbani e dell'Ambiente Altero Matteoli. Quest'ultimo si è ora detto soddisfatto
del semplice allungamento dei tempi: il maxiemendamento del governo concede infatti
alle sovrintendenze quattro mesi di tempo, contro i 30 giorni previsti inizialmente,
per accertare l'esistenza di un interesse culturale su un immobile dello stato
destinato al mercato. «La mancata comunicazione nel termine complessivo di
120 giorni - dice il nuovo testo - equivale ad esito negativo della verifica».
E il bene può essere ceduto senza ulteriore indugio. «C'è il tempo per esaminare
le pratiche e si è superato il ristretto termine di 30 giorni che avrebbe consentito
di salvare anche ciò che non era salvabile», ha commentato Matteoli. Ma com'era
da attendersi, nemmeno l'allungamento dei tempi ha convince i Verdi. «Adesso Urbani
può tranquillamente tornare a casa: il suo ministero diventa superfluo», ha ironizzato
il senatore Sauro Turroni. L'ultima versione del decretone conferma inoltre
per l'Agenzia del Demanio la possibilità, introdotta già in prima battuta
con un altro degli emendamenti Tarolli, di vendere «a trattativa privata» e
anche «in blocco» a Sviluppo Italia, società controllata dal Tesoro, immobili
«suscettibili di interesse turistico». Per cederli sarà sufficiente un semplice
«decreto dirigenziale» del ministero dell'Economia. Traduzione: non servirà nemmeno
la firma del ministro, sarà sufficiente quella del responsabile del Demanio." S.Riz
Corriere
della Sera, 29/10/2003 |
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Art.
27 D.L n. 269 del 30/9/2003 |
30
settembre 2003 | Art.
27 del DECRETO-LEGGE 30 settembre 2003, n.269 Disposizioni urgenti per favorire
lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici (GU n. 229
del 2-10-2003- Suppl. Ordinario n.157) (Verifica dell'interesse culturale del
patrimonio immobiliare pubblico) 1.
Le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province,
alle citta' metropolitane, ai comuni e ad ogni altro ente ed istituto pubblico,
di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, sono sottoposte
alle disposizioni in materia di tutela del patrimonio culturale fino a quando
non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2. 2.
La verifica circa la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, e' effettuata dalle soprintendenze,
d'ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, sulla base di
indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero per i beni e le attivita'
culturali. 3.
Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse
di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni
di tutela di cui al decreto legislativo n. 490 del 1999. 4.
L'esito negativo della verifica avente ad oggetto cose appartenenti al
demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, e'
comunicato ai competenti uffici affinche' ne dispongano la sdemanializzazione,
qualora non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse. 5.
Le cose di cui al comma 3 e quelle di cui al comma 4 per le quali si sia proceduto
alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili. 6.
I beni nei quali sia stato riscontrato, in conformita' agli indirizzi generali
richiamati al comma 2, l'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico
restano definitivamente sottoposti alle disposizioni di tutela. 7.
Le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1
anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro
natura giuridica. 8.
In sede di prima applicazione del presente articolo, la competente filiale dell'Agenzia
del demanio trasmette alla soprintendenza regionale, entro trenta giorni dalla
emanazione del decreto di cui al comma 9, gli elenchi degli immobili di proprieta'
dello Stato o del demanio statale sui quali la verifica deve essere effettuata,
corredati di schede descrittive recanti i dati conoscitivi relativi ai singoli
immobili. 9.
I criteri per la predisposizione degli elenchi e le modalita' di redazione delle
schede descrittive sono stabiliti con decreto del Ministero per i beni e le attivita'
culturali, da emanare di concerto con l'Agenzia del demanio entro trenta giorni
dall'entrata in vigore del presente decreto legge. 10.
La soprintendenza regionale, sulla base dell'istruttoria svolta dalle soprintendenze
competenti e del parere da queste formulato nel termine perentorio di trenta giorni
dalla richiesta, conclude il procedimento di verifica in ordine alla sussistenza
dell'interesse culturale dell'immobile con provvedimento motivato e ne da' comunicazione
all'agenzia richiedente, entro sessanta giorni dalla ricezione della relativa
scheda descrittiva. 11.
Le schede descrittive, integrate con il provvedimento di cui al comma 10,
confluiscono in un archivio informatico accessibile ad entrambe le amministrazioni,
per finalita' di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli
interventi in funzione delle rispettive competenze istituzionali. 12.
Per gli immobili appartenenti alle regioni ed agli altri enti pubblici territoriali,
nonche' per quelli di proprieta' di altri enti ed istituti pubblici, la verifica
e' avviata a richiesta degli enti interessati, che provvedono a corredare l'istanza
con le schede descrittive dei singoli immobili. Al procedimento cosi' avviato
si applicano le disposizioni dei commi 10 ed 11. 13.
Le procedure di valorizzazione e dismissione previste dai commi 15 e 17 dell'articolo
3 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con legge 23 novembre
2001, n. 410, nonche' dai commi dal 3 al 5 dell'articolo 84 della legge 27 dicembre
2002, n. 289, si applicano anche ai beni immobili di cui al comma 5 del presente
articolo, nonche' a quelli individuati ai sensi del comma 112 dell'articolo 3
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, e del comma
1 dell'articolo 44 della legge 23 dicembre 1998, n. 448. All'articolo 44 della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, sono soppressi i commi
1-bis e ter. Emendamento all’Art. 27 Apportare le seguenti modificazioni a) al
comma 4, sostituire le parole da “ai competenti uffici” fino al termine del periodo
con le seguenti: “agli enti di cui al comma 1”; (27.78) b) sopprimere il comma
5; (27.79) c) al comma 6 aggiungere, in fine, il seguente periodo; “L’accertamento
positivo costituisce dichiarazione ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo
490 del 1999 ed è trascritto nei modi previsti dall’articolo 8 del medesimo
decreto legislativo”; (27.80) d) al comma 9 dopo le parole “schede descrittive”
aggiungere le seguenti: “, nonché le modalità di trasmissione dei predetti elenchi
e delle schede descritte anche per il tramite di altre amministrazioni interessate,”;
(27.40) e) al comma 10 aggiungere, in fine, il seguente periodo: “La
mancata comunicazione nei termini anzidetti equivale ad esito negativo della verifica”;
(27.59) f) al comma 11 dopo le parole “le schede descrittive”, inserire le seguenti:
“degli immobili di proprietà dello Stato oggetto di verifica positiva”; (27.63)
g) al comma 13, primo periodo: 1. sostituire le parole: “si applicano anche ai
beni immobili di cui al comma 5”, con l seguenti: “si applicano anche ai beni
immobili di cui al comma 3”; 2. dopo le parole: “articolo, nonché”, inserire le
seguenti: “sentito il Ministero della Difesa quanto alle sue eventuali esigenze
concernenti il territorio comunale interessato dalle singole procedure di valorizzazione,”.
(27.72) Tarolli |
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