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La Scala, scommessa vinta? |
4
ottobre 2004
|
"Sono
stato due ore dentro la Scala ritrovata. A me pare un'ottima notizia
che questo cantiere sia in fase di chiusura. Ho visto smontare i
ponteggi in via Filodrammatici, accendere in prova il grande lampadario
di platea, lucidare i pavimenti di legno, fissare la seta rossa
alle pareti dei palchi. Mette allegria l'idea che in due anni tutto
sia tornato a posto da quella voragine di detriti, che dietro la
facciata intatta dell'edificio del Piermarini aspettavano l'appuntamento
con l'italica incapacità di ricostruire dopo aver abbattuto. Quando
il teatro aveva chiuso per il trasloco in periferia, il provvisorio,
che sempre diventa definitivo, si accampò malinconico nel mio taccuino.
Il mio immaginario di cronista ha uno scaffale folto di slittamenti.
Tutto il resto, le polemiche sul restauro, i diversi pareri sulle
singole scelte, i costi, la filologia dei ricordi e dei particolari,
appartiene al metabolismo di Milano. A me colpisce la stravaganza
felice dell'esito globale, un appuntamento rispettato. Si era detto:
«Arnvederci a Sant'Ambrogio del 2004», e a Sant'Ambrogio la cìttà
ritroverà il suo luogo più amato e famoso, divenuto ora senza strappi
una macchina modernissima di spettacolo dentro il guscio antico.
Non mi interessa il colore dell'amministrazione che ha vinto la
scommessa, non è rilevante il ritorno propagandistico della partita.
Questo restauro non è virtuale come un sondaggio, è una cosa che
è andata bene a Milano. E' un fatto che appartiene a tutti. Sarebbe
dimostrazione di debolezza politica sminuire il senso di questa
conclusione di fatica. Albertini, che mi fa da guida nel lungo giro,
è visibilmente soddisfatto, e io non vedo perché dovrebbe destare
invidia. E' andata bene. Altre cose non vanno altrettanto bene,
a giudizio degli oppositori. Ma che senso ha negare questo successo?
Senza timore di avvolgersi nella retorica, lui sostiene che «deve
esserci un Dio per i sindaci coraggiosi» e cita Erostrato, l'incendiario
di Efeso cui rischiava di assomigliare millenni dopo, se il meccanismo
burocratico - giudiziario - edilizio si fosse bloccato, dopo che
erano state smontate tutte le parti del gioiello. «Se ci fosse ancora
Indro...». Nella nostra conversazione il nome di Montanelli è tornato
quattro volte, la nostalgia per il grande giornalista è affettuosa
e interessata, a Indro era piaciuto questo milanese efficiente e
asciutto, ne aveva apprezzato il taglio impolitico, lo stile da
amministratore di condominio e quel parlare esatto, un po' aulico,
di ex allievo del liceo dei gesuiti. Gli ha lasciato in dono, andandosene,
la mitica Olivetti Lettera 22, cui i lettori italiani debbono le
migliori pagine del giornalismo contemporaneo. E' esposta come una
reliquia in Palazzo Marino, accanto alla scrivania del sindaco.
Montanelli non avrebbe esitato a festeggiare la Scala ritrovata
e si sarebbe complimentato senza avarizia con l'uomo più votato
di uno schieramento che non sopportava. Ne sono convinto. Durante
il giro abbiamo parlato a lungo del paradosso Albertini, una formula
che funziona alla Scala, che ha chiuso in attivo il bilancio dei
depuratori, ma che parrebbe avere smarrito la simpatia di parte
di un'opinione che Montanelli coglieva al volo, con il suo intuito
di rabdomante dei desideri della gente. Via via che di piano in
piano, di corridoio in corridoio, visitavamo la nave della musica
quasi pronta da riparare, il sindaco elencava i motivi di altre
soddisfazioni, il termovalorizzatore Silla 2, il completamento del
tratto urbano del Passante ferroviario, la cablazione della città
(«negli annunci economici del Corriere del 1904 si leggeva: Affittasi
appartamento, dotato di acqua corrente. Oggi l'acqua corrente è
l'informazione via cavo, arrivata in ogni casa»). Eccetera eccetera.
E allora perché, con tanti eccetera, l'aria non è più quella del
tempo degli elogi di Indro? Albertini si ferma: «Montanelli diceva
che sono antisistemico. La politica professionale, l'élite mediatica
che le è contigua, la rappresentanza aggregata degli interessi hanno
oggi un atteggiamento diverso... Ma la città ha superato molti motivi
del disagio, dalla cui eliminazione partì nel 1997 il nostro lavoro.
Se avessimo potuto fare le privatizzazioni programmate, se avessimo
così potuto attingere a una diversa disponibilità finanziaria per
la spesa corrente e per i grandi lavori... Nel primo mandato ci
giovammo di un nuovo senso comune, la gente sentiva l'esistenza
condivisa di una linea etica, che vorrei definire fontanelliana.
Poi qualcosa si è inceppato nella condivisione, forse appartiene
al mio stile l'incapacità di rendermi simpatico a tutti, di ingraziarmi
ogni commento... Ma quei cinquecentomila milanesi che mi hanno voluto
qui sanno che ho lavorato e lavoro per loro». Tutti quei voti sono
una nostalgia evidente. Ma il parlamentare europeo Albertini, da
poco eletto per Strasburgo, non sottovaluta il suo nuovo zoccolo
elettorale. Torniamo a parlare della Scala. Il 4 novembre cominciano
puntuali le prove per l'opera dell'inaugurazione, «L'Europa riconosciuta»
di Antonio Salieri. Il titolo è propizio, Salieri non è Mozart,
Strasburgo non è Milano. Ma il 7 dicembre Salieri sarà desiderabile
quanto Mozart e Milano certamente, grazie alla Scala ritrovata,
sarà grande capitale d'Europa."
Gaspare
Barbiellini Amidei - Corriere della Sera, Milano, 4/10/2004 |
| La Scala era una topaia |
8
marzo 2004
|
Intervista
a Mario Botta: «La Scala era una topaia ma vincerà la scommessa»
Colloquio
con l'architetto ticinese, progettista dei lavori di restauro e
di ristrutturazione del teatro Incontriamo Mario Botta a Lugano,
nel suo bellissimo studio-torre.
Architetto,
nel suo fortilizio ha forse un motivo per dispiacersi di non trovarsi a Milano?
«No, perché Milano e la mia città. Da Mendrisio, dove abito, in 35 minuti arrivo
in corso Sempione: come se attraversassi Los Angeles da un quartiere all'altro.
Culturalmente, sono italiano: di madre italiana e di studi italiani, a Milano
e a Venezia. Proprio non sento un limite di Lugano, che considero periferia di
Milano». Al
contrario, non si rallegra mai per il fatto di non vivere nella grande città?
«Noi la critichiamo anche violentemente, però la città è il massimo della tensione
umana. Nel bene e nel male, è comunque la casa collettiva dell'uomo. E’ giusto
che critichiamo anche le esasperazioni della città diffusa, la sua mancanza di
qualità, le periferie, però, insomma, la città è il paesaggio naturale al quale
aspira l'uomo. È l'insieme che permette di vincere quel sentimento che è la solitudine.
La metropoli contemporanea offre quindi una serie di valori di tipo globale, con
i quali siamo costantemente in conflitto, consapevoli però della loro grande ricchezza.
A Milano si è cittadini del mondo: vi passa una quantità di emozioni e di possibilità
che in un altro contesto non troveremmo. E l'eterna lotta tra una condizione critica
e il grande vantaggio, lo sono nato in campagna e ho sempre aspirato alla città,
che per me e uno dei beni supremi». «Circola
una bella foto che la inquadra col casco giallo nel cantiere della Scala. I milanesi
si sono però spaventati alla vista della voragine alle sue spalle. Si son detti
- Ce la faranno per il 7 dicembre?" «È una scommessa temeraria, ma credo che
Milano abbia le risorse per farcela. Naturalmente, non sarà tutto finito. Meglio,
saranno finite le parti necessario per l'inaugurazione. Poi si continueranno i
lavori per quei corpi accessori, sale prove e altro, che non sono strettamente
indispensabili». In scena comunque. Sarà ancora una grande Scala? «Credo
davvero che questa di Milano sia una bella scommessa. Ripeto: temeraria anche
concettualmente, se si vuole, però capace di credere che vi sia una possibile
coniugazione tra il passato e il futuro. O il presente». Si
temeva che il progetto stravolgesse il conosciuto. «È
invece un progetto molto rispettoso della storia. Della configurazione storica,
meglio, perché attraverso il restauro della parte monumentale, seguito da Elìsabetta
Fabbri, la Scala uscirà rafforzata e più dignitosa. Anche la parte nuova avrà
una propria dignità e una propria immagine: sarà una struttura al centro della
città in grado di far funzionare il teatro. Bisogna infatti considerare che, al
di là del palcoscenico, in un teatro vive anche tutta un'altra macchina. È proprio
una bella scommessa». Sui tempi e sul risultato complessivo...
E lei dice che Milano la vincerà? «Sicuramente». Il
lavoro dell'architetto è visto come espressione di libertà. Ma alla Scala lei
è dovuto intervenire su strutture preesistenti. Come ha fatto? «La libertà
è data dai vincoli, non esiste la libertà assoluta. Io, anzi, sono convinto che
più vincoli ci sono, meglio si possano trovare le ragioni per le trasformazioni.
I vincoli sono parte del progetto: come i contenuti, come la dimensione del territorio
su cui si agisce. Per l'architetto i vincoli sono salutari. E sen/.a vincoli,
io non saprei che cosa fare. Mi interessano il dialogo, il confronto, il superamento
della difficoltà e l'invenzione che accetta la condizione data dal vincolo e fa
scoprire altre possibilità».
Il vincolo, in questo modo, viene addomesticato e diventa un interlocutore.
È così? «Pensiamo al pittore: stabilisce lui i suoi vincoli. Il formato
di un quadro, per esempio, è un vincolo fortissimo. Quando non ci sono, i vincoli
se li inventano gli stessi artisti». Che
cosa provò quando le fu chiaro che si sarebbe occupato del Teatro alla Scala?
«La cosa è cominciata in maniera soft. Io non avevo il mandato, e l'impresa
che ha vinto il concorso aveva nei suoi compiti la realizzazione dei piani esecutivi.
Quindi, io sono un po' entrato attraverso la porta di servizio. I piani dovevano
rispondere a talune condizioni della Soprintendenza, per cui il tutto, alla fine,
è diventato un vero e proprio progetto, e l'invenzione di due corpi in dialogo
con la parte sottostante ne è stata la chiave di volta. Quando nascono come la
grande idea, i progetti rischiano magari di consumarsi. Altri, più sofferti, ritrovano
alla lunga una loro ragione d'essere». E
con la Scala si va più cauti, si cammina piano. «Toccare la Scala comporta
naturalmente una responsabilità. Non tanto da un punto di vista linguistico-architettonico,
quanto per il fatto che il teatro rappresenta un valore aggiunto, ragione per
cui gli elementi metaforici e simbolici per la città lo identificano come la Madonnina.
E’ bello, quindi: è bello un lavoro sul plus valore». Come
nella vita, così un progetto cresce soffrendo? «La sofferenza è parte dell'atto
creativo. Ma non bisogna neanche pensare che l'architetto sia l'artista demiurgo
che risolve ogni problema. Dietro un progetto c'è molta passionalità: la parte
creativa è nella misura del 10 per cento, il resto è analisi, studio, sintesi.
Il progetto di architettura è un processo, non è un gesto: un processo che coinvolge
molte personalità e competenze». L'hanno
molto disturbata le polemiche delle opposizioni politiche? «Nel nostro mestiere
il consenso arriva sempre tardi. A opera finita, in genere, quando si può anche
discutere, ma, ingomma, e pur sempre lardi. Il dissenso, invece, e puntuale e
tempestivo. Ma quando sono in buona fede, le critiche sono segnali a cui si deve
dare attenzione. Sono spie, non bisogna snobbarle: possono anche affossare un
progetto. Questo, per la Scala, sarebbe stato un peccato, perché il suo meritava
di andare avanti. Molte critiche, devo dire, erano pretestuose. Qualcuna diceva:
"Si costruisce un grattacielo sopra il Piermarini!". Noi, invece, alziamo di soli
2 metri e 40 il livello del vecchio limite. Esagerazioni latte ad arte» E
Milano si è infine resa conto che la Scala andava rimessa in sesto. «Il
teatro era chiuso perché, tecnicamente, era inagibile. Alla fine del 2001
scadevano tutte le proroghe che da decenni gli venivano concesse perché era una
topaia: non c'era sicurezza, gli operai vi lavoravano in condizioni pietose,
e da subito dopo la guerra si continuava ogni volta ad aggiungervi un lavoro di
emergenza. Senza una pianificazione. Per andare avanti, la Scala aveva bisogno
di questa ripulita, di un rinfresco». A
lei piace ricordare che l'architettura va associata al valore della gravita. Vanno
letti in questo senso i due volumi da lei inseriti sui tetti del teatro?
«No, i due volumi che fuoriescono dal corpo ottocentesco
saranno percepiti soltanto da grande distanza: stando sotto il teatro,
si ripresenterà infatti il rapporto tra la facciata e la città. Sopra, poi, sarà
come tutti i tetti: ci sono le cupole, i tamburi, i serbatoi d'acqua, i corpi
aggiunti. La città, cioè, ha anche un suo mondo sul tetto. E dall'alto è bello
vedere che la città si esprime, oltre che con le facciate, anche attraverso la
sua planimetria: quando lei, stando in alto, osserva la cupola della Galleria,
sente che lì sotto c'è un cuore, c'è un venire. Così la Scala, che vivrà di due
momenti: del suo rapporto figurativo con la storia - e noi ripuliremo il disegno
del Piermarini da tutte le aggiunte -e, in alto, di un linguaggio più astratto,
contemporaneo, che si leggerà come un corpo tecnico». Architetto,
c'è chi lo chiama "cappelliera": vuole indicare lei il termine giusto per
il volume ovale? «Riepilogando, si tratta di
due volumi: uno, il parallelepipedo, è la cassa della torre scenica;
l'altro, sopra i tetti di via Filodrammatici, è
a pianta ellittica, e si potrebbe chiamare ellissoide». A
Milano è forte il contrasto tra spazio pubblico e spazio privato: faticoso il
primo, godibile l'altro. «Abbiamo sacrificato tutto in funzione del traffico,
che dovrà necessariamente ridimensionarsi: non è possibile che lo spazio pubblico
sia ridotto a corsia dì transito. A Zurigo, una delle note di merito dello scorso
anno è stata l'eliminazione di 7mila posti-pareheggio. E in molti centri europei
è in atto una politica di riqualificazione della città proprio attraverso la riduzione
dei parcheggi». Accidenti:
il contrario di quanto si vuol fare a Milano! «Esatto. Per disincentivare il traffico
privato, tirar via i parcheggi invece di costruirne di nuovi. Attenzione, però:
arriverà il momento in cui bisognerà dissuadere la gente dall'entrare in città.
E per far questo, devono funzionare i mezzi pubblici». E’ sempre difficile il
rapporto tra città e sicurezza «La città pubblica non è né meglio né peggio
della città sociale che vi sta dietro, essendo l'espressione formale della storia.
Non possiamo illuderci che una società violenta, ghettizzante, drogata, esprima
uno spazio di benessere, di armonia e di serenità. L'architettura, in questo,
è impietosa: è sempre lo specchio della sua storia, nel bene e nel male: un diario
di pietra che ci parla di ciò che vi è stato». Piero
Lotito Il Giorno, 8 MAR 2004 | | |
"Più
dialogo" |
5
settembre 2003
|
Lavori
alla Scala, chiediamo più dialogo con la città Alberto FerruzziCaro
direttore, il Corriere ha avviato sulle pagine milanesi un dibattito
sul futuro «newyorkese» della nostra città partendo dalle dichiarazioni
del sindaco Albertini. In questo contesto vorrei richiamare la sua
attenzione su un tema che sempre riguarda Milano e il suo skyline,
ma che ha un interesse e un valore ben più ampio di quello cittadino
la futura immagine del nostro più famoso teatro italiano, la Scala.
Questo tema, che ha una rilevanza internazionale e mondiale, è stato
finora invece ristretto al solo ambito milanese o al massimo nazionale,
anzi è stato confinato tra l'anticamera del sidaco Albertini, lo
studio del Sovrintendente Fontana e l'ufficio del ministro
dei Beni culturali, Urbani. Si deve sapere che, con una procedura
innovativa e un po' troppo disinvolta in termini di tutela del patrimonio
artistico, il ministro dei Beni culturali ha tollerato la demolizione
di tutto il palcoscenico e degli annessi al grande edificio della
Scala, riducendo la parte storica del teatro alla sola sala
e al suo foyer e lasciando tutto il resto (che era quasi il
doppio di quanto è sopravvissuto) a una ricostruzione di gusto postbellico.
Dietro le facciate sopravvissute alla demolizione si sviluppa un
ambiente totalmente nuovo che si collega con la parte storica dell'
edificio solo attraverso il sipario che mantiene le misure del precedente.
Si deve inoltre sapere che il progetto in corso di esecuzione
comporta un totale stravolgimento del profilo del teatro in rapporto
a tutto il contorno tradizionale di piazza della Scala; infatti
il nuovo sipario è più alto del precedente di alcuni metri
ma purtroppo è anche più largo e più profondo. Tutto ciò comporterà
un sopralzo rispetto alla sopravvissuta facciata storica di 17 metri
ed una estensione di 38 metri, tutto in un impattante marmo rosa.
E così pure davanti a Palazzo Marino, la facciata famosa nel mondo
del Teatro della Scala, disegnata oltre due secoli fa dal Piermarini,
sarà sovrastata da questo cubo rosa di 40 metri. Inoltre a compensare
questo incombente cubo rosa, dal lato che da su via Filodrammatici,
si realizzerà un fabbricato ovale alto tre piani, impostato a 20
metri dal suolo e che raggiunge i 30 metri! Ho descritto gli effetti
sullo skyline di Milano del progetto di ristrutturazione della Scala
che fu steso in quattro mesi dall'architetto Mario Botta e che fu
approvato in quattro giorni dal ministro dei Beni culturali. Italia
Nostra ha ripetutamente chiesto al sindaco Albertini di rendere
partecipe la cittadinanza e tutta la opinione pubblica dell'impatto
del nuovo progetto. Ma il Sindaco Albertini ci ha scritto che la
«modellatura» dei contorni avrebbe comportato dei ritardi nell'esecuzione
dei lavori. Chiediamo un poco più di dialogo sulle grandi scelte
per la città.
Corriere
della Sera 05/09/2003 | |
Interrogazione
al ministro |
15
gennaio 2003
|
"Con
una interrogazione al ministro della Cultura i senatori verdi Sauro
Turroni e Fiorello Cortiani denunciano ''la distruzione totale (documentata
recentemente da 'Striscia la notizia') di quanto stava dietro al
sipario del teatro della Scala, nonche' il trasferimento notturno
in discarica dei materiali scaligeri poi ridotti in briciole''.
In particolare i due parlamentari chiedono in base a quale progetto
esecutivo e nell'ambito di quale appalto indetto dal Comune di Milano
siano stati eseguiti e stiano tuttora proseguendo tali lavori di
demolizione integrale; quali materiali del palcoscenico e del sottopalcoscenico
siano stati smontati e conservati per la loro musealizzazione in
base alle prescrizioni della Soprintendenza ai Beni Architettonici;
dove siano finite le colonne della torre scenica, risalenti alla
Scala settecentesca di Giuseppe Piermarini; dove siano finite le
colonne della cripta della trecentesca Chiesa di Santa Maria della
Scala fino a poche settimane fa ben visibili sotto il palcoscenico,
se esse siano state smontate e conservate a cura della Soprintendenza,
oppure se siano, come altri materiali, finite in discarica e la'
sbriciolate; quale vigilanza abbiano esercitato sui lavori di smantellamento
e di demolizione la Soprintendenza Regionale e le Soprintendenze
ai Beni Architettonici e ai Beni Archeologici; se risponde a verita'
quanto affermato pubblicamente da vari esperti di teatri storici
e cioe' che si progetto di ricostruire il palcoscenico della Scala
in modo difforme da quello preesistente pienamente improntato alla
tradizione antica italiana e di intervenire quindi pure sul livello
e sulla sala settecentesca la quale subirebbe per questo e per altri
interventi una palese manomissione."
ROMA,
15 GEN 2003 (ANSA). |
| Abbattuta
la vecchia torre scenica |
19
dicembre 2002
|
"Soddisfatti
dei lavori all'interno della platea, quelli conservativi, ma
'impressionati negativamente' per la ristrutturazione, che riguarda
la parte retrostante del teatro, dove sorgera' il nuovo palco e
la torre scenica, per ora completamente abbattuta.
E' questa l'opinione generale dei consiglieri di centrosinistra
che stamattina hanno potuto visitare i cantieri del teatro in ristrutturazione.
''Neanche i bombardamenti della seconda guerra mondiale - hanno
sottolineato molti consiglieri dell'opposizione - avevano provocato
un tale sventramento''. E Rifondazione comunista ha rincarato: 'una
bomba area da 500 Kg e' esplosa nel ventre della Scala aprendo un
cratere che occupa due terzi dell'area occupata originariamente
dal teatro''. Una visita durata oltre due ore quella di oggi e preceduta
nei giorni scorsi da un mare di polemiche. Da tempo infatti l'opposizione,
ma anche altre forze politiche e associazioni, chiedevano con insistenza
di poter entrare nel cantiere blindato. Cosi' stamattina i consiglieri,
elmetti bianchi in testa, si sono recati in visita alla Scala insieme
ai colleghi di maggioranza delle commissioni comunali Cultura e
Lavori Pubblici. Durante il sopralluogo il direttore dei Lavori
Pubblici Antonio Acerbo ha inoltre reso noto che la falda si e'
innalzata di diversi metri anche sotto il cantiere della Scala in
ristrutturazione. Il tecnico comunale ha anche aggiunto che si tratterebbe
di un contrattempo che non incidera' sui tempi di esecuzione dei
lavori, il cui termine e' previsto per la fine del 2004. Un'ipotesi
confermata anche dal vicesindaco e assessore ai lavori pubblici
Riccardo de Corato, che ha ricordato che le immagini dei lavori
sono visibili da oggi a tutti attraverso il sito aperto dal Comune
propri per il cantiere. Le critiche della minoranza comunque si
sono concentrate sulla gestione definita 'dilettantesca', con cui
la Giunta avrebbe portato avanti le vicende amministrative del cantiere,
oggetto anche di una sentenza del Tar. E' stata inoltre rilanciata
la questione dell'incarico di progettazione esecutiva affidata a
Mario Botta e alcuni consiglieri hanno sollecitato un nuovo bando
entro la prossima primavera per affidare un incarico attraverso
una gara pubblica. Ma su questi punti e' arrivata immediata la replica
del vicesindaco. 'Non ci sara' nessuna nuova gara di appalto - ha
detto - Abbiamo tutto il tempo per rifare la delibera in Giunta
e approvarla nei termini di legge''.
MILANO,
19 DIC | |