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A
Forte Procolo solo sporcizia |
12/03/2006
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"L'asciato
all’abbandono si è ormai trasformato in rifugio di clandestini
L’appello di un cittadino a Comune e Demanio. E parte una raccolta
di firme I cittadini vogliono farne uno spazio per iniziative
L’intera zona è popolata da baracche di sbandati Sporcizia e degrado
a Forte Procolo. La struttura militare asburgica
al centro del quartiere Navigatori è diventata alloggio di clandestini.
A denunciarlo è un residente, Andrea Bocchin, che stanco di dover
fare i conti con continui atti di microcriminalità, quali furti
di biciclette, motorini e piccoli «colpi» anche nelle abitazioni,
ha dato il via ad una raccolta di firme e ad una lunga lista di
lettere alle autorità cittadine. «Tutta l’area attorno a Forte
Procolo è terra di nessuno», spiega Bocchin, «è stata lasciata
nell’incuria da anni e quel che è grave è che si trova nel mezzo
di numerose abitazioni. Vi regnano sporcizia e insalubrità». Bocchin
assicura che all’interno della zona, che è di proprietà del demanio
militare, ci sono diverse baracche dove i clandestini trovano
riparo. «Ho avvisato la questura», spiega, «che si è subito attivata.
Ma, come sempre, le pattuglie passano e i clandestini poco dopo
tornano. Purtroppo la situazione è grave in quanto i numerosi
sbandati che vi trovano rifugio minano quotidianamente il quieto
vivere di chi è residente nel quartiere». Non trovando un’adeguata
risposta alle proprie sollecitazioni, Bocchin non ha esitato a
rivolgersi direttamente al reparto infrastrutture dell’ufficio
demanio e servitù militari chiedendo esplicitamente «il ripristino
della recinzione e il disboscamento» dell’area. Non solo, ha chiesto
anche che l’area venga concessa per attività pubbliche e di aggregazione.
La risposta da parte del reparto infrastrutture non si è fatta
attendere ed è emerso che l’opera militare rientra in quelli che
sono da considerarsi beni alinenabili, vale a dire in vendita.
«Il nostro quartiere», sottolinea Bocchin, «è sempre stato caratterizzato
da insediamenti militari come l’ex caserma Martini che si affaccia
su viale Colombo, il poligono di tiro. È un peccato perdere un
valore così importante come Forte Procolo». Del resto Forte
San Procolo, questo è il suo nome originale, risale al 1840, è
tra le opere di fortificazione più significative della città realizzate
dall’impero asburgico. Faceva parte del cosiddetto piano di
riequilibrio delle forze austriache nel Veneto, assieme ad altre
strutture quali le torri San Giuliano, il forte San Giorgio. Completava
la difesa a destra dell’Adige. Era presidiato da 230 fanti ma
in emergenza poteva ospitare 438 uomini. Attualmente le mura sono
quasi integralmente conservate e questo ultimo dato ha permesso
a Bocchin, che tra l’altro è architetto, di lanciare una proposta
che se verrà accolta potrà finalmente offrire alla città uno spazio
ricreativo-culturale. «Riportare questa struttura ad un livello
di civiltà ed ospitalità è cosa dovuta», premette Bocchin, «se
non altro per il valore storico culturale che ha di per sè il
forte. Ricordo che in questo spazio militare in epoca fascista
venne fucilato Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Di conseguenza
rientra in un pezzo della nostra storia contemporanea». «Se il
Comune e gli altri enti raggiungeranno un intesa con il demanio»,
propone, «noi cittadini del quartiere potremmo gestire questi
spazi proponendo manifestazioni culturali, musicali. Giovani ed
anziani del quartiere non hanno molte aree a loro disposizione.
Restituire vitalità a questo spazio urbano significa dare la possibilità
ai cittadini di rendersi utili, non solo di vivere sicuri senza
l’assillo che qualcuno gli entri in casa o gli porti via da sotto
il naso la bicicletta».
Anna
Zegarelli Domenica 12 Marzo 2006 L'Arena | |
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Sos
polveri, monumenti in pericolo |
28/02/2006
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"Si
depositano dappertutto. Sporcano e inquinano. Ma alcune polveri - sottili, e non
solo - sui marmi antichi fanno di peggio. Trasformano chimicamente la natura di
quelle pietre. Come quelle, un tempo candide, che ricoprono la piramide Cestia.
O il marmo dell'ormai "carbonizzato" Mosè di largo Santa Susanna. Fino al travertino
del Palazzaccio, che ha già perso lo smalto del recente restauro. L'allarme polveri
verrà lanciato oggi aldurante la giornata organizzata dall'Istituto centrale del
restauro e dall'Agenzia protezione ambiente. Il ministero Beni culturali e quello
dell'Ambiente illustreranno i risultati di una ricerca sull'incidenza delle polveri
sui monumenti di Roma e Milano. Nella Capitale le cose vanno meglio. E vanno meglio
anche rispetto al passato di Roma. Grazie al calo dei gas (diminuiti sono i casi
di solfatazione, i marmi che si sfarinano come gesso). Eppure rimane il grave
problema delle polveri. Che anneriscono statue e palazzi. E che, spesso, mutano
e minano l'integrità dellepie tre. Non solo un problema estetico, ma strutturale,
vitale.." La
Repubblica (Roma) 28/02/2006 | |
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II
centro è sempre più una baraccopoli di plastica
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01/02/2006
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Intervista
a Pier Luigi Cervellati: "All'aperto
non dovrebbero esserci nemmeno i vasi dei fiori".
"Uno schiaffo all'arredo urbano con pedane rialzate e brutte coperture" «MI devono
spiegare perché se uno tinteggia la casa di un colore
diverso da quelli consentiti o se modifica una finestra di qualche centimetro
prende la multa e uno che realizza una vera e propria struttura in strada possa
tranquillamente essere autorizzato» si interroga Pierluigi Cervellati
(nella foto a destra), architetto di fama ed ex assessore all'Urbanistica del
Comune. Una differenza di trattamento piuttosto evidente e curiosa... «Non c'è
dubbio. Oltretutto qui si sta realizzando una sorta di baraccopoli di plastica
e ferrovetro, corredata di altri elementi negativi sul piano dell'arredo urbano
come pedane rialzate, coperture di dubbio gusto, perimetri di fioriere di plastica
che, se diventano stabili tutto l'anno, si trasformano, appunto, in baraccopoli».
Cosa si dovrebbe fare, allora? «All'aperto non ci dovrebbero essere strutture,
nemmeno i vasi dei fiori per delimitare gli spazi perché danno l'idea del degrado
crescente. Qui non si tratta di fare un patto con la sovrintendenza, ma della
necessità di un governo pubblico della città». Lei ritiene che in centro si
debbano sfrattare i 'dehors' dappertutto o ci sono posti in cui sono tollerabili
strutture, magari più esili? «In linea generale, in centro, come ho detto, sono
contrario alle strutture. Poi ci sono posti e posti. In alcuni non dovrebbe esserci
assolutamente nulla, come in piazza Maggiore, per esempio. In altri si può discutere
di occupazioni temporanee. Sono contrario, per fare un altro esempio, all'occupazione
dei portici: secondo me, lì non dovrebbe esserci nulla». Il Comune e la sovrintendenza
cosa dovrebbero fare? «Si dovrebbe giungere a un disegno pubblico di razionalizzazione
degli spazi e quindi istituire dei parametri formali coi quali giudicare se una
proposta è fattibile o incompatibile col contesto. Ripeto, non un patto Comune-sovrintendenza,
ma un progetto ben fatto che tenda a eliminare le strutture permanenti e a
definire i requisiti ai quali i 'dehors' dovranno attenersi». Lei, quindi,
è per togliere tutto quello che voi tecnici chiamate «superfetazioni»? «Ma è ovvio.
Perché viene punita una modifica al primo piano e non una al piano strada? Oltretutto
mi sto accorgendo che le 'verande' costruite a Bologna, tra tutte quelle che ho
visto in giro, sono le più brutte. Certe aggiunte sulla strada sembrano degli
autobus doppi parcheggiati a ridosso degli edifici storici. Inoltre, da una parte
si fa di tutto per togliere le auto dalle strade del centro e poi si consente
a queste cose di proliferare e prendere il loro posto che è anche peggio. Andando
avanti di questo passo la città si riempirebbe di 'dehors' e cambierebbe il suo
volto». La
Repubblica – Bologna Cronaca, 1 feb. 2006 | |
A
spasso per Firenze |
19/01/2006
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"Un
girone così non l'ho immaginato neppure io». Forse questa sarebbe la frase che
direbbe Dante dopo aver rivisto la 'sua' Firenze. Atterrando al piazzale del Poggio
Imperiale, di fronte alla villa medicea, ammirerebbe la facciata cinquecentesca.
Peccato, però, il rischio potrebbe essere quello di inciampare nei cassonetti
"irremovibili". Ma Dante non è tipo che si arrende. Armato di elmetto, non si
sa mai visto che dal Bargello e non solo cadono pezzi di cornicione, il nostro
fantomatico poeta prosegue il suo tour. Il fascino del centro lo spinge a inoltrarsi
nei vicoli medievali della città. Ed ecco alzarsi il sipario sullo show: cassonetti
straripanti di spazzatura, cartacce ovunque, file di bottigliette abbandonate,
escrementi di cavallo tra cui fare lo slalom. La nostra guida va avanti sgomitando
tra orde di turisti 'incantati' di fronte ai mimi che assediano il loggiato degli
Uffizi. Una bella foto ricordo con il Faraone all'angolo di via della Ninna e
si riparte. Più che il loggiato del Vasari sembra la Rambla di Barcellona. Stessa
scena in piazza Duomo tra scarichi di autobus, transenne e impalcature. Cerchiamo
un po' di pace in piazza Santa Maria Novella. Qui più che Firenze sembra una succursale
delle Filippine, specialmente il giovedì pomeriggio. E tra il pratino e il vicino
sottopassaggio della stazione si cammina su un tappeto di bottiglie di birra.
Perfino la lussuosa via Tornabuoni, la sera, è assediata dai sacchetti della nettezza.
Il maestro rimpiange le sue bolge. Quelle, in definitiva, sono solo infernali.
Le strade, per il continuo passaggio di auto e bus, sembrano un formaggio gniviera:
buchi ovunque. Dove sono finiti i lastricati di pietra serena? Le domande arrovellano
il 'nostro cervellone' che inciampa nelle transenne arrugginite piazzate sull'ennesimo
cantiere. Le domande non finiscono. Perché l'ex cinema Apollo è ridotto in quello
stato di degrado e abbandono? Disorientato, il maestro chiede lumi. La risposta
non lascia spazio a dubbi: «Bisognerebbe non avere più vista, udito e olfatto
per non accorgersi del degrado imperante. La sporcizia, oltre alla vista inquina
anche l'olfatto». Sottobraccio al 'maestro' ci inoltriamo nel vicolo del Gomitolo
d'Oro. Cos'è quest'odore? Esalazioni della palude Stigia? No, un cartello chiarisce:
«Si prega di non urinare», ripetuto in arabo e in inglese. Di corsa ce ne andiamo
e finiamo in piazza Brunelleschi. Il muro che fiancheggia l'Università è imbrattato
da sfregi, croci celtiche, falci e martello, da murales non sempre artistici.
Per fortuna ci siamo capitati di giorno. Di notte bisogna anche guardarsi alle
spalle. Dante, scuote la testa e, stremato, se ne torna nel tranquillo avello
di Ravenna. Insomma, non sempre l'esilio è il male peggiore. Non possiamo dargli
torto." LA
NAZIONE FIRENZE 19-GEN-2006 | |
La
bellezza soffocata dallo smog |
26/10/2005
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"L’allarme
lanciato da Legambiente a proposito delle condizioni di degrado in cui versano,
a causa dell'inquinamento, i monumenti lungo il Cassaro pone l'accento su due
questioni centrali, connesse e sinora irrisolte, relative alla tutela e alla valorizzazione
del patrimonio urbano: la necessità di pensare i singoli interventi di recupero
e restauro in un'ottica progettuale unitaria anziché isolatamente per singoli
tasselli, e di elaborare una strategia che tenga conto dell'equilibrio non facile
tra le esigenze della conservazione dei brani della città antica da un lato e,
dall'altro, delle funzioni economiche e residenziali di cui nessuna parte di città
può prescindere. Questioni complesse che hanno alimentato per anni il dibattito
sui centri storici, e che a Palermo sono rimaste quasi sempre lettera morta, affidate
a iniziative estemporanee senza prevedere un processo di ridisegno graduale e
ormai comunque improcrastinabile dei meccanismi di funzionamento della città.
Col risultato, sotto gli occhi di tutti, di una rinuncia di fatto a controllare
le cause del degrado ambientale, e lasciando alla mercé dei gas di scarico statue,
decori, facciate di chiese e palazzi. Il caso di corso Vittorio Emanuele ma anche
di via Maqueda è tanto più eclatante in quanto investe il fulcro monumentale e
simbolico della città: la grande croce di strade che segna i confini dei quattro
mandamenti del centro antico sulle cui direttrici si è andata sedimentando la
sua storia urbana, l'audace piano di riconfigurazione degli antichi quartieri
attuato attraverso il doppio prolungamento e la rettifica del Cassaro tra il l567
e il l581, e il taglio della Strada Nuova a partire dal 1600. Una successione
di architetture — dalla Cattedrale a piazza Bologna a San Giuseppe dei Teatini,
dal complesso di piazze che dispone come un succedersi di quinte teatrali piazza
Pretoria, Santa Maria dell'Ammiraglio e San Cataldo ai grandi palazzi aristocratici
settecenteschi — che dovrebbe avere per Palermo la stessa centralità che ha per
Firenze l'asse che da piazza del Duomo conduce a piazza della Signoria, e che
invece rimane pressoché invisibile: occultato dall'incessante fiumana di automobili
il magnifico cannocchiale prospettico che conduce da Porta Felice a Porta Nuova,
mortificata dalla sporcizia accumulata giorno per giorno la sontuosa cortina architettonica
di palazzi nobiliari, occupata dai parcheggi selvaggi la sequenza dei piani rinascimentali
e barocchi, lo spazio in cui fu convogliato lo sfarzo della città capitale soffoca
e agonizza. Lo stato in cui versano oggi i Quattro Canti è forse l'esempio più
evidente dei danni prodotti dall'assenza di una politica unitaria di tutela: appena
pochi ani fa, il restauro aveva restituito la partitura delicata delle cromie
della pietra e dei marmi, una variazione di bianchi e ocre oggi nuovamente annerita
e bisognosa di un nuovo intervento; anche se, perla materia di cui ogni architettura
è composta, ogni restauro rappresenta sempre un piccolo trauma, e le operazioni
di pulitura non possono di conseguenza ripetersi di continuo. Una sorte simile
attende, se non interverranno mutamenti capaci di rimuovere le cause del degrado,
le statue ancora candide della Fontana Pretoria, la scena dell'Annunciazione e
l'albero della vita che ornano il timpano del portico meridionale della Cattedrale,
e la facciata dell'Oratorio del Santissimo Salvatore, dove, a restauro quasi ultimato,
dalle impalcature occhieggia il ritrovato giallo paglierino della pietra anziché
la densa superficie nera che avevamo conosciuto da sempre. Non vi è dubbio che
la situazione è stata aggravata dalle decisione dell'attuale amministrazione di
riaprire indiscriminatamente al traffico la via Maqueda, dopo che la relativa
isola pedonale con l'apertura ai soli autobus di linea e ai veicoli delle forze
dell'ordine e delle ambulanze aveva garantito una riduzione sensibile delle emissioni
di gas di scarico delle automobili, le più nocive e corrosive. Una soluzione controversa
quella adottata dalla precedente giunta, senza dubbio parziale e imperfetta, ma
almeno un primo passo nella direzione giusta; abolita in nome della sicurezza
dei pedoni, fu detto, in attesa di un piano traffico annunciato inizialmente tra
le priorità e invece subito rimosso, che ha ridotto via Maqueda (ma lo stesso
vale per corso Vittorio Emanuele) al collasso: con auto parcheggiate sui marciapiedi
e in doppia fila ad ogni ora del giorno, operazioni di scarico delle merci effettuate
in barba a qualsiasi ordinanza regolatrice, e i pedoni costretti a uno slalom
(questo sì) pericoloso, per non dire di chi è costretto ad avventurarsi per la
strada con bambini al seguito o su sedia a rotella. Nella città antica i diritti
sono dei fuoristrada, non dei più deboli. I provvedimenti da prendere sarebbero
almeno nel breve periodo impopolari probabilmente per gli automobilisti, certamente
peri commercianti, e dovrebbero avere come approdo finale (ma in tempi certi)
la pedonalizzazione delle due strade sull'esempio di quanto avviene in molte altre
città italiane ed europee in aree della stessa estensione, prevedendo dissuasori
a scomparsa per permettere l'accesso ai residenti, parcheggi vicini all'area pedonale,
servizi continui di minibus elettrici; senza che il commercio ne soffra, anzi:
perché una dimensione urbana diversamente ordinata e vivibile è al contrario la
premessa per la riqualificazione commerciale dell'intera zona. Altrimenti, rassegniamoci
alla progressiva e implacabile rovina dei monumenti simbolo della nostra storia.
e SERGIO
TROISI 26/10/2005, La Repubblica, Palermo | |
Incuria
e degrado in piazza |
3/10/2005
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"Comune
ed Hera maltrattano la “sua” piazza e l’architetto Sandro Volta protesta. Nei
giorni scorsi il professionista milanese ha inviato una lettera piccata e poco
tenera a sindaco e assessori, elencando tutto ciò che non gli piace del modo in
cui piazza Tre Martiri e dintorni vengono usati. “Manca una politica complessiva
nella gestione del centro storico - attacca - e a farne le spese è non solo una
piazza pensata e realizzata per essere una riqualificazione, ma l’intera isola
pedonale”.Il punto di partenza è proprio la destinazione “pedonale” della piazza.
“Posso arrivare a capire i residenti - tuona l’architetto - ma tutto quel via
vai di camion, furgoni, treni e trenini proprio non lo digerisco. Il risultato
finale può piacere o meno, ma quel lavoro ha ridato alla città la sua isola pedonale
nel centro storico e tale dovrebbe rimanere. Sento spesso parecchie lamentele
su questo punto anche dai commercianti ma non vedo cambiamenti nella gestione
da parte dell’amministrazione. In molte città, compresa Milano, i camion vengono
lasciati nei parcheggi attorno al centro e il materiale trasportato con i carrelli:
non è mai morto nessuno. Oppure si fissano orari rigidi per le consegne e si fanno
rispettare”.Bocciata da Volta anche l’ipotesi di ritorno dei mezzi pubblici. “È
una cosa da matti. Se uno va all’Iper di Savignano può capitare anche di lasciare
la macchina in un parcheggio a 300 metri, ma la stessa persona non è disposta
a fare 150 metri in centro”Ma è verso Hera che l’architetto rivolge le parole
più dure. “Penso non stia rispettando in pieno l’appalto di manutenzione ricevuto
dal Comune. I lavori vengono fatti male e senza criterio. Quando, ad esempio,
ci sono delle spaccature nella pavimentazione, anzichè sostituire la piastra danneggiata
chiudono il buco con il cemento, c’è una panchina all’inizio di via IV Novembre
che ancora non è stata riparata, altre due mancano di fronte all’edicola di piazza
Tre Martiri. Vanno meglio segnalate anche le asole con i resti archeologici, altrimenti
diventano grossi bidoni dell’immondizia a cielo aperto”.Il problema, conclude
Volta, “è che, se è l’amministrazione comunale a non tutelare per prima i propri
beni, non ci si può aspettare che lo facciano gli altri”. Corriere
della Romagna, 3 ottobre 2005 | |
Lo
scempio dei tempietti romani |
27/6/2005
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"Vetri
rotti, sporcizia diffusa, scritte sulle mura millenarie Doveva essere il biglietto
da visita di Chieti e invece il sito archeologico è una vergogna Scritte spray
e sporcizia nei tempietti romani il simbolo dell'incuria CHIETI. Ad una prima
occhiata si notano il cancelletto divelto e i faretti sradicati. Segni di vandalismo
che si aggiungono a vetri rotti e cartacce, mozziconi sparsi e ogni genere di
sporcizia. Uno scenario già raccapricciante per una periferia. Figuriamoci per
i tempietti romani che, in pieno centro storico nella città ultramillenaria, sono
una parte importante di ciò che resta di un passato irripetibile. L'originario
tempio italico, il pozzo votivo di epoca marrucina, il podio che sostiene i templi
gemelli voluti da Marco Vezio Marcello e due costruzioni più semplici Oltre duemila
anni di storia che, recuperati con una poderosa opera di riqualificazione, avrebbero
dovuto inaugurare la "rinascita culturale" della città che cronologicamente si
colloca prima della capitale. Avrebbero dovuto essere il centro vitale di un parco
archeologico esteso dalla Civitella alle cisterne sotterranee di piazza Valignani
Invece, ricettacolo di sporcizia e incuria, i tempietti sono oggi luogo di incontro
per ra-gazzini alle prese con la prima sigaretta, studenti parcheggiati sul ponticello
di vetro e vandali ignoti che, a cadenze irregolari, si divertono a deturpare
il patrimonio collettivo. Nel giardino cartacce, fogli di giornali e cartoni di
ogni dimensione. Anche i pavimenti - risistemati con tavolette di legno scuro
- non sono più calpestabili Pezzi di plastica accumulati agli angoli dell'edificio,
mentre le scritte spray sono la cornice degli antichi mattoncini C'è chi se la
prende con Ma ratti per le sorti dell'Inter e chi giura eterno amore ad una fantomatica
ragazzina. Altro che rinascita culturale. Perfino parte del vetro antisfondamento
è stato distrutto in mille pezzi E pensare che i tempietti erano destinati ad
essere il biglietto di visita del capoluogo di provincia. Si era parlato di uno
sportello informativo per il sistema museale cittadino oppure di un centro multimediale
di orientamento, e qualcuno continua ancora a lavorare sul progetto. Qualche settimana
fa, era stato promosso uno spettacolo di arte contemporanea. Visitatori e applausi
Poi cartacce e resti di una costruzione artistica, ridotta a brandelli di legno
e filo pesante. Nessuno l'ha rimossa e la sporcizia ha continuato ad accumularsi
Forse, come era stato già ipotizzato, non rimane che chiudere i tempietti con
una recinzione di diversi metri Si salverebbe la storia, ma al prezzo di renderla
invisibile." Alessandra
Fiore - il Centro Chieti, 27 giugno 2005 | |
Degrado
in piazza Mercanti |
16/6/2005
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"La
guerra al degrado urbano? «Non bastano gli sponsor, chi deve combatterla è la
pubblica amministrazione». Lo dice Carla Di Francesco, sovrintendente ragionale
ai beni artistici e architettonici, all'indomani dell'allarme sul degrado di Piazza
dei Mercanti. Ma mentre il Comune si difende respingendo al mittente le accuse
d'inerzia («L'ultimo restauro è del '99 e ci abbiamo speso 10 miliardi di vecchie
lire», dice il vicesindaco De Corato), è la Camera di Commercio a farsi avanti
per proporre: «Se il Comune ci sta, piazza dei Mercanti siamo pronti ad adottarla
noi». L'architetto Di Francesco, sulle armi per combattere il degrado, ha le idee
chiare: «Gli strumenti principali anti-degrado si chiamano manutenzione e controlli.
Spesso in quest'ordine». E il senso civico no? «Ovvio che sì. Ma anche quello,
inteso come cultura del rispetto delle cose e delle regole, non può nascere dall'oggi
al domani. Va coltivato e fatto crescere. E in questo campo è figlio, anche lui,
di una buona manutenzione e di controlli costanti». E la sovrintendente continua:
«Naturalmente Palazzo della Ragione è solo una delle situazioni milanesi critiche.
E non è possibile proporre una ricetta unica per tutte». Esempi? «Prendo tre casi
diversi. Il primo sono le Colonne di San Lorenzo: un luogo frequentatissimo, dove
è evidente che non basta "l'uso" di uno spazio per impedirne il degrado, ma occorre
che quell'uso sia a sua volta soggetto a regole. Il secondo Grazie, dove invece
il problema numero uno è la manutenzione ordinaria. Il terzo è la Stazione Centrale,
summa dei cattivi comportamenti, dove il degrado è prima di ogni altra cosa un
problema sociale». A chi spetta intervenire? Carla Di Francesco non ha dubbi:
«Premesso la responsabilizzazione dei cittadini, perché ogni bene pubblico appartiene
a tutti e a ciascuno, e come tale dovremmo trattarlo, manutenzione e controlli
spettano evidentemente alla pubblica amministrazione». E gli sponsor privati?
«Ben vengano, certo, ma la loro utilità dipende soprattutto dalla continuità.
Sulle aiuole è più facile, su una piazza lo è meno. Insomma, ogni contributo per
una non si può sempre scaricare sui privati un ruolo supplente di compiti pubblici».
Nel frattempo però, come si è detto, la Camera di Commercio ce l'avrebbe eccome,
la voglia di rendersi utile. E sottolineando come, tutto sommato, Piazza dei Mercanti
sia vicina all'ente non solo nel nome ma anche logisticamente, con Palazzo dei
Giureconsulti appena di là dalla strada, il presidente Carlo Sangalli lancia al
Comune un'offerta concreta: «Se Palazzo Marino lo ritiene utile, siamo pronti
a collaborare fattivamente perché la Piazza e il Palazzo della Ragione siano curati
come meritano». Il vi-cesindaco De Corato prende la palla al balzo e risponde
immediatamente: «Prendo atto e ringrazio di questa disponibilità, in attesa di
ricevere un progetto». Quel che tiene a precisare aspettando di riceverlo è che
«il Comune, sul Palazzo della ragione e la piazza sottostante, non è stato affatto
con le mani in mano». Elenca: «II restauro lo abbiamo fatto ed è recentissimo.
Certo può esserci qualche lastra di pavimento che ha ceduto, e sarà sostituita
come è stato già fatto in passato. I graffiti? Li puliamo regolarmente: il fatto
che ricompaiano, come è nota, è un problema di tutta Milano e lo stiamo affrontando
non da ieri. Quanto all'utilizzo della piazza, ricordo solo che mostre, concerti
e iniziative organizzate dal Comune in quello spazio non si contano, l'ultima
rassegna jazz è finita la scorsa settimana». i Paolo
Foschini Corriere della Sera – Milano, 16/06/2005 | |
spazzatura
all'anfiteatro di Lecce |
12/6/2005
|
"Il
sindaco infuriato per i rifiuti che rovinano l’ immagine della città: non
possiamo intervenire «Costretti a subire lo sconcio» - Sindaco Poli: la pulizia
dell'anfiteatro spetta alla Sovrintendenza. Che i rifiuti nell'anfiteatro romano
siano uno sconcio non vi è dubbio, ma il Comune ha le mani legate: parola di sindaco.
Adriana Poli Bortone attacca la Sovrintendenza, proprietaria del monumento e quindi
tenuta a garantirne la custodia, la pulizia e la fruibilità. «Abbiamo le mani
legate, dice il sindaco, malgrado quello sconcio sia una macchia pesante sul biglietto
da visita della città. Più volte abbiamo sollecitato una soluzione, offrendo collaborazione,
ma invano». Il sindaco, però, tornerà alla carica: una soluzione va trovata,
quello sconcio deve essere rimosso in fretta. Le stranezze: ma che serve il custode?
«Ingresso vietato ai netturbìni» Solo pochi giorni: fa l'anfiteatro ha ospitato
ì tifosi che hanno festeggiato la permanenza in serie A del Lecce. Nessuno li
ha fermati, perché ora dovrebbero fermare i netturbini? Vita magra di un monumento-simbolo.
L'anfiteatro-discarica è quanto di "meglio" la burocrazia (quella con la
"b" alta quanto una casa) riesca a offrire in città. Se all'interno i rifiuti
si ammucchino - grazie soprattutto, va detto, agli incivili che usano la cavea
come un'enorme pattumiera - non si riesce a inviare qualcuno che pulisca. Il
Comune spiega che il compito deve essere della Soprintendenza, responsabile del
sito archeologico, ma la stessa Soprintendenza non prevede alcun intervento di
rimozione della spazzatura. C'è solo un custode, che svolge il suo lavoro
in alcune ore della giornata e che da solo non può far nulla. E allora, con l'amministrazione
comunale che non può muoversi e la Soprintendenza che non ne vuol sapere, nessuno
interviene. Formalmente se un dipendente della società che ha in appalto la nettezza
urbana a Lecce dovesse scavalcare 'il cancelletto per raggiungere l'interno dell'anfiteatro
commetterebbe un reato. Potrebbe giungere un poliziotto o un carabiniere, o un
vigile urbano, a bloccarlo. Potrebbe. Però è ben difficile che accada, visto che
in ogni momento della giornata e della notte in tanti scavalcano indisturbati
quel cancelletto che è di fronte ai portici del palazzo Ina. Indisturbato lo scavalcò,
un paio di anni fa, Gianni Ippoliti con il suo gruppo di volontari che m un pomeriggio
raccolsero ogni genere di rifiuti ripulendo il monumento. Nessuno intervenne per
fermare chi stava pulendo. Vuol dire, questo, che la stessa tolleranza verrebbe
applicata se a pulire fossero i dipendenti della società della nettezza urbana?
E poi, è stato fatto notare, l'esigenza di tenere pulita quella parte della città
e quindi la necessità di garantire il decoro non sarebbero sufficienti a giustificare
un "blitz" dei netturbini. Già, ma in tal caso chi pagherebbe visto che nel
capitolato d'appalto non è compresa la pulizia dell’anfiteatro? Solo domande,
per ora, ma qualcuno una risposta dovrà pur darla. La settimana scorsa, mutato,
è stato ripulito il teatro romano, su iniziativa della Fondazione Memmo (che gestisce
il museo attiguo, nella piazzetta dove c'è il monumento a Fanfulla) e della Ecotecnica,
quest'ultima la società che gestisce a Lecce (con l'Aspica) il servizio di nettezza
urbana. Un destino diverso rispetto a quello dell'anfiteatro, grazie anche a Itersalento
che, in collaborazione con la Fondazione Memmo, organizza spesso visite guidate
e iniziative per i turisti. Nuovo Quotidiano Lecce 13-GIU-2005 Il sovrintendente
chiede di incontrare la Poli e fa una proposta: «Coinvolgiamo
anche i privati nella gestione del monumento» L'anfiteatro cerca
un padrone di ANNA RITA INVIDIA Messo "sotto accusa" dal sindaco Adriana Poli
Bortone («Se l'anfiteatro romano è sporco non è colpa nostra, la pulizia non spetta
a noi»), il sovrintendente ai Beni archeologici Giuseppe Andreassi mette le mani
avanti. «Non fatemi fare la parte del cattivo - dice -, io voglio risolvere questo
problema almeno quanto lo vuole il sindaco. Anzi, ne approfitto per lanciare una
proposta che, a mio parere, rappresenta anche l'unica soluzione reale: istituire
un tavolo tra Sovrintendenza, amministrazione comunale e agenzia del demanio,
che è la proprietaria del bene». Già l'anno scorso il problema della pulizia dell'anfiteatro
fu sollevato e ci furono anche i primi contatti tra la Poli e Andreassi. «Fu tu
uno scambio di lettere - continua il sovrintendente - ma poi, presi da tanti problemi,
non se ne fece niente. L'anno scorso riuscimmo a tamponare con qualche intervento
di pulizia strardinaria, faremo la stessa cosa anche adesso: è già nelle previsioni».
Ma non è una pulizia straordinaria - neanche una volta al mese - che può risolvere
il problema dell'anfiteatro di piazza Sant'Oronzo. «Il fatto è proprio questo
- conferma Andreassi -, se domani noi ripuliamo l'anfiteatro, tra quindici giorni
sarà nuovamente sporco. Anche perché come i leccesi sapranno meglio di me, visto
che l'anfiteatro ce l'hanno sotto gli occhi, questo monumento si è trasformato
in un centro di aggregazione giovanile. Nell'anfiteatro viene gettato di tutto,
dalle lattine alle bottiglie e alle cartacce. A Tarante, per un'importante zona
archeologica, siamo riusciti a trovare una soluzione sottoscrivendo una convenzione
con il Comune che provvede, alla presenza di un nostro addetto, a pulire due volte
a settimana». Il problema è complesso, non riguarda solo la pulizia e il decoro
dell'anfiteatro: ormai è arrivato il momento di parlare del futuro di questo monumento
(che non è aperto al pubblico da almeno quindici anni) e della sua gestione complessiva
che non può non comprendere la fruizione del bene. La Sovrintendenza avvisa: da
" sola non può caricarsi dell'onere di portare avanti la gestione dell'anfiteatro.
Serve la collaborazione di Palazzo Carafa e - perché no ? - anche dei privati.
«L'anfiteatro - spiega Andreassi - è un bene di difficile gestione. Come sono
tutti i monumenti all'aperto, che richiedono una pulizia quotidiana o quasi e
una vigilanza continua. Se non ricordo male proprio a Lecce, la scorsa estate,
qualcuno sollevò il problema delle chiese che erano aperte solo per poche ore.
Non mi sembra che sia stata trovata una soluzione perché l'unica possibile e quella
di pagare qualcuno che sia presente durante tutto l'orario di apertura. E' una
soluzione costosa. Lo stesso discorso vale per l'anfiteatro: il problema è di
presidio umano». C'era un tempo, prima del '90, ossia prima che iniziassero i
lavori nell'anfiteatro romano, in cui la Sovrintendenza ai beni archeologici provvedeva
sia alla pulizia che a tenere aperto il monumento. «Un monumento così antico e
all'aperto - aggiunge ancora Andreassi - non può essere fruibile senza controllo,
né si può pensare di blindarlo. Forse oggi non lo si riporterebbe nemmeno alla
luce. Prima eravamo noi a occuparci di tutto, poi con l'inizio dei lavori, nel
'90, l'anfiteatro è stato consegnato alla ditta che a un certo punto è anche fallita.
Insomma, in questo lungo periodo di transizione, la situazione si è ingarbugliata
ed è diventata ambigua. Oggi la Sovrintendenza non può assumersi l'onere di gestire
da sola l'anfiteatro: una volta avevamo il personale per farlo, oggi non ce l'abbiamo».
Da qui la proposta di Andreassi. «Rinnovo il mio invito al sindaco Poli Bortone
a istituire un tavolo, a cui dovrà sedere anche l'agenzia del demanio, per trovare
insieme una soluzione che non dovrà limitarsi alla pulizia ma riguardare l'intera
gestione del bene. Si può decidere di concedere al Comune la gestione diretta
dell'anfiteatro o si jpgtrebbei(. pensare di coinvolgere' ì* privati, ai quali
però bisogna prospettare una possibilità di guadagno. Le ipotesi di soluzioni
non mancano, io non ho la presunzione di poter dare una risposta in 24 ore e nemmeno
in 24 giorni, tanto è complessa la situazione. Ma se inibiamo a lavorare adesso,
forse a ottobre la convenzione sarà firmata». E magari la prossima estate non
staremo qui a scandalizzarci di nuovo perché nessuno pulisce l'anfiteatro». o Oscar
D'Angelo Nuovo Quotidiano Lecce 12-GIU-2005 | |
Degrado
a castel S. Angelo |
13/9/2004
|
"Roma:
lontani i tempi «d'oro» del Giubileo. Strutture fatiscenti, topi e sporcizia assediano
la fortezza Una discarica infestata dai topi, ai piedi del «passetto» papale.
Antiche mura, ridotte a vespasiani. Latrine, bivacchi, accampamenti e «depositi
bagagli» di barboni, senza tetto, disadattati, nel fossato e sui bastioni. Materassi
e coperte infilati nelle antiche feritoie. Sistemi di irrigazione difettosi. Passerelle
pericolanti e malamente transennate. Castel Sant'Angelo è assediato dal degrado.
L'immortale storia d'amore della Tasca di Puccini si svolgerebbe ora dentro una
sorta di campo nomadi. Eppure, in occasione del Giubileo, il Comune ha incassato
ben quattro miliardi e mezzo di lire per i restauri e il ripristino del fossato
e dei giardini di questa che è la fortezza papale più celebre e ricca di storia.
Pioggia di milioni {tremila!) anche per la Soprintendenza archeologica. In meno
degrado appare il fossato, per il cui recupero infrastnitturale il Decimo dipartimento
del Comune ha incassato 1 miliardo 427 milioni 910mila lire di fondi giubilari.
I turisti che si affacciano dal bastione di San Matteo vedono un albero rinsecchito,
abbattuto, resti di rami e immondizie bruciate, una latrina dietro un cespuglio
di alloro. Imboccando viale Giuseppe Ceccarelli «Ceccarius», ecco subito sulla
destra un pilastro di mattoni sbrecciato, malamente delimitato da un nastro di
plastica afflosciato. Sotto il pilastro, i bagni pubblici. La richiesta di servizi
igienici risulta superiore all'offerta, a giudicare dal cartello bilingue, con
la scritta: «Cortesemente non fate i vostri bisogni sulla porta». E un crescendo
di degrado. In un fossato ai piedi del muro, tra O bastione San Matteo e quello
di San Marco, c'è un deposito di cassette, coperte da vecchie incerate, bottiglie,
perfino un sombrero. A pochi metri, sotto gli archi del passetto, quello che sembra
un chiusino pieno di acqua lurida si rivela essere il portalampade di un lampione
«a raso». Accanto, due enormi palanche, vicino a uno dei tanti cestini dell'Ama
poggiato a terra, ai piedi del suo sostegno. Altre tavole marce sono quelle della
passerella davanti all'ingresso posteriore del castello, proprio dirimpetto alla
statua dell'imperatore Adriano. Evidentemente i fondi incassati dalla Soprintendenza
ai Beni archeologici di Roma in occasione del Giubileo (1 miliardo 329 milioni
936mila lire, per il restauro del Mausoleo di Adriano) non sono bastati per sostituirle.
Qualcuno, però, passa ancora su quelle tavole ogni giorno. Giacigli di cartone
e cenci sono in piena vista sotto l'arco di questa postierla. Più discreti, altri
barboni si sono installati nelle fosse recintate ai piedi del bastione San Marco.
Utilizzano le feritoie circolari di marmo per depositarci coperte e trapunte.
Altri materassi sono infilati in una fessura del muro, proprio davanti al portale
d'ingresso, opera di Giovanni Sallustio Peruzzi nel 1556. Saliamo sui bastioni
e sprofondiamo nel degrado. Il portale involontario a un vero e proprio abisso
di sozzura è il passetto papale. Proprio dirimpetto alla stazione dei carabinieri
San Pietro, in una cavità dei bastioni, i resti di un misero appartamento, dal
tetto crollato. Si stenta a credere che il dipartimento X. del Comune abbia incassato
ben 2 miliardi 898 milioni 531mila lire, per «Lavori di recupero infrastrutturale
e vegetazionale dei giardini dei bastioni», in occasione del Giubileo. Il bastione
San Marco, in particolare, è un lercio bivacco: cancellate diverte, fontane a
secco, fossati di ronda riempiti di tappeti, trapunte, enormi sacchi di plastica
pieni di chissà cosa. Tomba collettiva di imperatori, roccaforte delle mura aureliane,
galera ostrogota, fortezza e lussuoso rifugio papale, carcere di personaggi celebri
della storia (da Beatrice Cenci a Benvenuto Cellii), scenario virtuale di una
delle opere liriche più famose al mondo e, infine, museo. Nemmeno un genio come
Adriano avrebbe mai immaginato quante volte il suo mausoleo sarebbe stato riciclato.
A realizzarlo pare sia stato lo stesso Adriano, non a caso, il nome di questo
imperatore è legato al vallo di Adriano e a Villa Adriana. C'è da dire, però,
che, anche se questo monumento ha ben resistito a duemila anni di assalti dei
nemici e di ristrutturazioni dei proprietari, restando ancora leggibile, l'aspetto
dell1 Hadrianeum era diverso da quello del Castel Sant'Angelo di oggi. Il tetto,
rotondo, per esempio, doveva somigliare a quello del Mausoleo di Augusto, dall'altra
parte del Tevere: un tumulo di terra di tipo etrusco, con molti alberi. Pare incredibile
che questa tomba così grandiosa si potesse trasformare in una fortezza imprendibile.
Ma così fu. Questa idea venne all'imperatore Aureliano. La tomba, via via fortificata,
si rivelò imprendibile: le orde dei Goti dovettero togliere l'assedio. Ma fu ancora
un re goto, Teodorico, a fare, per primo, della fortezza una prigione. Tradizione,
poi, continuata dai papi. Gian
Pietro Milanetti - il Giornale 13-SET-2004 | |
"I
monumenti ridotti a discarche" |
13/7/2004 |
"Roma:
ruderi millenari ridotti a latrine. Celebri tombe circondate da resti di accampamenti
di extracomunitari. Strade romane cosparse di immondizie o completamente ricoperte
di terriccio. Angoli di marciapiedi devastati, recintati da reti di plastica arancione.
Pannelli informativi imbrattati da sgorbi in vernice spray e da adesivi di protesta.
Giardinetti usati dai senza tetto come dormitori, ridotti a pantani dagli impianti
di irrigazione difettosi. Porta Maggiore, uno dei più celebri ingressi monumentali
della Roma antica, soffoca nel degrado. Soprintendenze archeologiche. servizio
giardini, Ama, vigili urbani, restano inermi di fronte al deterioramento di un
patrimonio culturale che non è soltanto della Capitale, ma dell'umanità intera.
Incuria e trascuratezza attaccano il cuore stesso della porta, il famoso sepolcro
di Eurisace, posto tra i due archi principali. Il fossato che circonda la monumentale
tomba è ancora ingombro da rifiuti: cenci, tavole e bottiglie, giornali, resti
dell'accampamento di extracomunitari rimasto per mesi addossato al monumento.
Proprio davanti al sepolcro, su piazzale Labicano, a lato della fermata del tram,
un tratto di via romana (qui ne confluivano due: la Labicana e la Prenestina),
a livello inferiore del piano stradale, è ridotta a una sorta di cassonetto scoperchialo:
cartacce, bottiglie di plastica, Alcune immagini di degrado a piazza Maggiore:
sporcizia, calcinacci, recinzioni, scritte che sconciano una delle piazze più
trafficate del centro di Roma pacchetti di sigarette, ricche, rendono invisibili
i tipici basoli della pavimentazione. Procedendo in dirczione nord, verso viale
scalo san Lorenzo, l'erba dei giardinetti è quasi tutta secca per la siccità.
Le bocchette dell'impianto di irrigazione sono tutte asciutte, tranne un paio,
da cui fiotta l'acqua che alimenta due piccoli pantani, tra i quali si stendono
logori giacigli di cartone. Al di là delle mura, c'è il tumulo di una tomba sostenuto
da una staccionata. Ai piedi del sepolcro, una giacca e altri cenci stratificati.
Tra il tumulo e le mura, siringhe abbandonate da eroinomani. A pochi passi dall'arco
monumentale nord, ecco, tra i ruderi in laterizio, una miserabile cuccia per gatti,
fatta di pezzi di elettrodomestici e pannelli. Al di là dei binari della Roma-Pantano,
due piccoli recinti di plastica arancione racchiudono angoli di piazza che sembrano
essere stati colpiti da un bombardamento chirurgico. Pali metallici a terra, tombini
fuori sede, asfalto in pezzi, frammenti di cemento, inframmezzati da buste di
rifiuti. Tra i due recinti, una vecchia cabina semaforica ferroviaria è tutta
imbrattata di vernice rosa e blu. È un crescendo di degrado: ad alcuni metri in
dirEzione di via di Porta Maggiore, il bagno pubblico interrato è aperto ma proprio
nella nicchia d'ingresso dell'ascensore ci sono escrementi e ovatta sporca. Il
vecchio telefono del parcheggio-taxi è scardinato. Restano solo i fili penzolanti.
Proprio al centro di piazza di Porta Maggiore, in corrispondenza dei due archi
centrali, l'unico pannello informativo è illeggibile, ricoperto com'è da vernice
spray e adesivi dei pacifisti (come si ricorderà, piazza Maggiore doveva essere
uno dei posti di blocco del movimento per impedire l'eventuale passaggio di Bu-sh,
lo scorso 4 giugno). Pochi metri a sud, in dirEzione di via Eleniana, una spianata
di terriccio con qualche filo d'erba e tante bottiglie di birra, lattine, fazzolettini
e cartacce, ricopre un tratto di strada romana perfettamente conservata, prima
visibile e transennata, ma perennemente ricoperta dalle erbacce e dalle immondizie
e ultimamente anche dalle stesse transenne, piegate e sradicate da un'auto impazzita,
e mai riparate. Appena a lato, appoggiato a un lampione, la carcassa di un motorino
senza targa e un palo arrugginito con una tabella ormai illeggibile. Verso via
Eleniana sotto due alberelli è legata una carrozzina di un barbone, stracarica
di masserizie. Subito dietro, c'è l'angolo più degradato della porta. Una nicchia
che emerge dal terreno è chiusa con un pannello di multistrato strappato a un
mobile economico. Dietro, ciotole per i gatti. Addossato alle mura e nascosto
da rampicanti, un anfratto è ridotto a una lurida latrina: escrementi tra pannelli
di compensato, bottiglie di birra vuote, una vecchia batteria. A pochi metri,
in direzione degli archi centrali, nella strettoia tra due muri, in piena vista,
c'è una piccola discarica: cenci, vecchi giornali, bottiglie di plastica."
il Giornale
- 13-LUG-2004 | |
"I
monumenti muoiono di inquinamento" |
15/4/2004
|
"II
grido di dolore di La Regina: "Smog, macchine, incuria " Dopo ricerche
e studi venne messa a punto nel 1981 la legge Biasini, grazie alla quale si intervenne
nei luoghi di maggiore degrado L'inquinamento dovuto
al traffico delle auto e agli impianti di riscaldamento è
tra le cause principali della rovina dei monumenti. Con la legge del
3 per cento si potrà usufruire di risorse per il patrimonio archeologico in occasione
della realizzazione della linea C della metro Le immagini dei principali monumenti
di Roma distratti dal degrado e dall'inquinamento diffuse nel 1979 fecero il giro
del mondo. "I
nostri
monumenti stanno morendo»: il grido di dolore si leva nella grande sala dell'Accademia
dei Lincei, sede del convegno «Ecosistema Roma», tre giorni di una passerella
di studiosi intorno al tema della vivibilità della città. L'allarme sul
patrimonio artistico viene dal soprintendente Adriano La Regina che parla fra
i primi, ieri mattina alle undici: «La lenta azione di decadimento della superficie
marmorea dei monumenti romani prosegue inesorabile. È necessaria una nuova
politica di conservazione dei beni artistici, tesoro che appartiene all'umanità
intera. Salvaguardare il patrimonio monumentale della Capitale è sempre più difficile».
Inevitabile ed immediato, il collegamento con quello che fu l'altro, storico grido
d'allarme sul tema, lanciato alla fine degli anni Settanta, quando per intervenire
sul degrado cronico dei monumenti si varò una legge speciale, la Biasini che servì
a finanziare importanti restauri. Ma sono passati già più di vent'anni. Di smog,
riscaldamento, d'incuria. Oggi, molto tempo dopo la chiusura degli ultimi
interventi di restauro, la situazione torna ad essere critica:
«Il punto è che non
si riesce a lavorare ad una manutenzione accurata e costante,
anche non straordinaria.
Per intervenire si aspetta sempre che le situazioni siano irrimediabili.
Per il lavoro di tutti i giorni non ci sono soldi. E non ci sono soldi perché
di queste cose non importa niente a nessuno.
Anzi, spesso la tutela del patrimonio è considerata un limite allo sviluppo».
In un quadro di inquinamento pesante rimediabile soprattutto, aggiunge la Regina,
attraverso «interventi di carattere urbanistico» come la riduzione del traffico
automobilistico, sono tante le situazioni a rischio che richiedono interventi
in tempi rapidissimi. E' il caso della colonna Troiana, con le sue decorazioni
che rappresentano il racconto quasi cinematografico della campagna contro i Daci,
ora transennata per proteggerla da chi ci lancia dentro rifiuti; della Colonna
di Marco Aurelio in piazza Colonna che porta addosso già con evidenza i danneggiamenti
degli agenti atmosferici; degli archi di Tito, di Costantino e di Settimio Severo,
e persino del Colosseo i cui restauri proseguono a fatica. «Certamente negli ultimi
anni intorno all'area archeologica centrale il traffico è stato dimolto ridotto.
Ma non basta: su questi monumenti servono interventi entro il prossimo anno
al più tardi», continua La Regina. In un quadro decisamente fosco, il soprintendente
ricorda come proprio ieri sia stata presentata dai ministri Lunardi e Urbani la
cosiddetta "legge del 3%" sulla base della quale nuove risorse potranno venire
ai beni culturali e al patrimonio dei monumenti antichi con investimenti nei grandi
progetti: nel caso di Roma potrà essere fonte di risorse la nuova linea della
metropolitana C che solcherà il cuore dell'area archeologica tra il Foro romano
e piazza Venezia. «Oltre agli scavi preliminari, indispensabili per individuare
i punti adeguati alle entrate e alle uscite della metro, con le nuove risorse
ricavate da questa grande opera si potrà rimettere in sesto il Palatino che è
gravemente a rischio», conclude La Regina. Grazie al grido d'allarme del 1979
e agli studi che ne seguirono, si salvò dall'edificazione, per esempio, parte
dell'Appia antica. Venticinque anni dopo rimangono — conclude La Regina — due
principi imprescindibili da perseguire. Il primo è l'idea di Roma di Argan, secondo
cui «la parte centrale della città va sgravata dalle funzioni insostenibili che
devono essere ridistribuite su tutta l'area e sempre più concentrata su funzioni
culturali: l'opposto di quello che sta avvenendo» e il secondo è «di non consumare
ulteriormente i suoli della fascia suburbana che hanno mantenuto il tradizionale
carattere agricolo, per salvaguardare ciò che resta del suburbio romano con l'effetto
di indurre processi di autorisanamento nelle aree già urbanizzate e degradate
della periferia». In sala, applausi e molta preoccupazione. Francesca
Giuliani - la Repubblica, Roma 15-APR-2004 | |
"Lo
stato divora i suoi tesori" |
Süddeutsche
Zeitung 3/2/2004
|
Il
duello dell’Italia sulla vendita dei suoi beni culturali Mentre
altri paesi riflettono su dove trovare mezzi finanziari per promuovere
imprese culturali, l’Italia pensa a monetizzare una parte dei suoi
beni culturali per sanare buchi di bilancio di altra pertinenza.
Nel frattempo i fondi per la cultura rimangono ad un livello scandalosamente
basso (0,33 % del recente bilancio statale). L’enorme patrimonio
di beni culturali che rende l’Italia da questo punto di vista forse
il paese più ricco al mondo – accanto a innumerevoli chiese e conventi
si contano circa 40.000 rocche e castelli, 30.000 tenute, 4000 giardini
storici, 2100 luoghi di scavo, 1000 centri storici di eccezionale
importanza, una miriade di palazzi cittadini dei passati secoli
e altro ancora – risveglia anche desideri di trasformare in moneta
sonante questa ricchezza. E questo in un paese, che con molte misure
protezionistiche, che risalgono al xv secolo, certo è diventato
un modello internazionale per la tutela dei beni culturali. Con
crescente raccapriccio l’opinione pubblica italiana segue un tetro
duello tra due membri del governo romano. Da un lato sta il ministro
dei beni culturali, Giuliano Urbani, che è d’ufficio responsabile
della tutela dei beni culturali, dall’altro il ministro dell’economia
e delle finanze, Giulio Tremonti che vuole far risuonare la cassa.
Questa è una lotta, che assomiglia alla gara tra la tartaruga e
la lepre. Ogni volta che Urbani medita su misure di tutela, Tremonti
dice: “Io sono già qui”. E’ stato così due anni fa, quando il ministro
delle finanze faceva raccogliere di punto in bianco tutti i beni
culturali di proprietà dello stato in una società per azioni, “Patrimonio
dello Stato Spa”, appositamente fondata, che ebbe l’incarico di
vendere tutto quanto fosse possibile. Ed è stato così un anno fa,
quando ugualmente Tremonti tentò di mettere fuori gioco gli uffici
preposti alla tutela monumentale che fino ad allora avevano l’ultima
parola per quel che concerne una possibile alienazione di beni statali
(un palazzo cittadino barocco si vende assai più facilmente di un
casermone del dopoguerra)....(segue) |
|
«Le
basiliche assediate dall'incuria» |
30
luglio 2003
| "Le
chiese e le basiliche fiorentine sono assediate dall'incuria, dal caos,
dallo sporco, dalla microcriminalità, dalla volontà di snaturarne addirittura
l'identità di luoghi di culto, per farne solo dei musei. E tutto, per colpa
degli amministratori comunali fiorentini, guidati dal sindaco Leonardo Domenici
che, oltre tutto, è anche presidente dell'Anci, l'associazione dei comuni italiani.
La crociata. Questa, almeno, la convinzione dell'Arcidiocesi di Firenze. O, più
esattamente, di monsignor Timothy Verdon, canonico della cattedrale di Santa Maria
del Fiore, il duomo, e, con lui, dei priori, dei rettori e dei guardiani delle
principali chiese e basiliche fiorentine. Un'accusa del genere, e con questi
toni, non si era mai sentita sulle rive dell'Arno, tant'è che ce n'è abbastanza
per far scoppiare un «caso» tra Palazzo Vecchio e le stanze di fronte al Battistero,
che ospitano l'arcivescovo Ennio Antonelli (probabile cardinale al prossimo concistoro,
viste le prerogative della città), che ha dato il suo placet alle esternazioni
dei priori e di monsignor Verdon, americano di nascita e fiorentino di adozione
spirituale e di vita. Così, almeno, ha detto, iniziando la sua requisitoria, Timothy
Verdon: «L'arcivescovo mi ha incoraggiato a portare avanti questa piccola crociata.
Ma le chiese e le basiliche di Firenze sono umiliate da caos, criminalità e sporcizia.
Una mancanza che è un'offesa alle radici cristiane della città. E questa città
che ha creato l'ideale massimo dell'Umanesimo, come fa a smontare cosi il suo
passato?». Monsignor Verdon non ha fatto complimenti: «L'arengario di fronte
a Palazzo Vecchio è mantenuto con grande rispetto. Perché non succede lo stesso
con i sagrati delle nostre chiese?». A dargli man forte sono arrivate le parole
del priore di Santa Maria Novella: problemi di ordine pubblico di notte e di giorno,
coi bivacchi di centinaia di persone; mancanza assoluta di servizi igienici, con
i muri esterni della chiesa trasformati in latrina. La controffensiva. Poi le
accuse del padre guardiano di Santa Croce, la basilica dei Sepolcri: borseggi
anche in chiesa; un «progetto occulto per laicizzare, per far dimenticare che
le chiese sono anche luoghi di culto», E di chi la colpa? Ancora una volta, dita
puntate sul Comune. A metà pomeriggio, quando le prime note di agenzia avevano
già preso il volo, Palazzo Vecchio è passato al contrattacco. Il sindaco ha preferito
non intervenire, lasciando la replica all'assessore alla cultura, Simone Siliani
e a quello allo sviluppo economico, Francesco Colonna. Ma c'è stata anche incredulità,
all'inizio. Poi, i comunicati. Vero o falso il quadro fatto dai preti? Accuse
da rispedire al mittente, ha tuonato Palazzo Vecchio: «I toni e i contenuti della
nota dell'Arcidiocesi...sono davvero inusuali fuori misura e per certi versi offensivi...».
I problemi, alcuni problemi, riconosce l'amministrazione possono anche esserci,
ma non in questi termini. La miccia è stata accesa. La polemica non finirà certamente
qui. Ennio
Macconi Nazione – Carlino | |
"Quei
vandali con la vernice" |
Giugno
2003
| | Ogni
notte, una moltitudine di cultori della vernice pazza imbratta gli edifici delle
nostre città e scompare nella quasi certezza dell'impunità. Neanche si salvano
i monumenti storici, come ripete sorpreso lo straniero affezionato al tour estivo
in Italia. Dovunque il viaggiatore vede quegli sgorbi detti benignamente graffiti,
che le nostre amministrazioni pubbliche tollerano ancora o forse non vedono più.
Prevale quell'incuria, lassista o permissivista, che subisce i «vandali in casa»
come un fenomeno insopprimibile. Ma le stesse norme legislative sulla tutela ambientale
risultano inadeguate a fronteggiare le torme dei ludici bombolisti, decisi a perseverare
nelle loro scorrerie notturne. Chi difende i prospetti architettonici, almeno
quelli antichi, e chi «le mura e gli archi»? Dieci anni fa, un disegno di legge
approvato dal governo Ciampi e trasmesso al Parlamento aveva tentato d'aggiornare
le difese contro i danni da vernici nebulizzate. Si trattava di risparmiare, oltre
tutto, i tanti miliardi profusi ogni anno per i restauri. Si doveva punire in
genere per «danno ambientale» chiunque deturpa gli edifici,, con sanzioni aggravate
contro chi danneggia «cose di particolare interesse artistico e storico». Era
previsto per l'industria chimica l'obbligo di segnalare sui nebulizzatori gli
elementi della composizione, oltreché accludere dettagliate schede sui prodotti
utili alla rimozione del colore. Nelle nuove confezioni distribuite sul mercato,
doveva, escludersi ogni sostanza corrosiva delle superfici lapidee. Un'altra norma
tendeva poi a limitare il commercio delle vernici spray al piccolo dettaglio,
senza penalizzarne gli usi professionali e industriali. Al disegno di legge avevano
collaborato con pazienti ricerche l'Istituto centrale del restauro, l'Opificio
delle pietre dure, l'Università di Roma e sei ministeri. Un lavoro vanificato.
Non se n'è fatto niente. Lo scempio vandalico si cronicizza. Le norme vigenti
non rispondono alla necessità di rigore prevista in quel disegno di legge, mentre
nel costume amministrativo dominano insieme inefficienza e indulgenza. Il fidecommesso,
l'obbligo di trasmettere ai discendenti l'eredità ricevuta, è un essenziale principio
etico prima che giuridico, ma troppi lo ignorano in particolare nella pubblica
tutela dei beni architettonici. Sarebbe logico, mentre si cerca di valorizzare
il complesso patrimonio dei musei, tutelare quei «musei a ciclo aperto» che sono
i nostri centri storici urbani. Ogni sindaco, beninteso, può rispondere che non
si potranno mai custodire le antiche piazze come i musei. Ma nelle amministrazioni
locali è anche latente, o persino evidente, un pregiudizio favorevole alla «fruizione»
sconsiderata della città «vissuta» purchessia e agli esuberanti attivisti delle
vernici. Sarebbero in causa forme di vitalità in cerca d'espressione creativa
o contestativa, sfoghi di animi travagliati e repressi, messaggi d'un malessere
generazionale. Il giustificazionismo sociologico, e anche demagogico, sa comprendere
qualsiasi spontaneismo in voga. Da parte loro, col conforto della diffusa clemenza,
i maniaci dediti agli sgorbi murali come ammissibili benché invasive provocazioni
non sanno valutare, o neanche vogliono considerare, i danni al patrimonio di tutti.
Dunque rimane vasto il fenomeno d'una «ignoranza attiva», che non incontra serie
sanzioni o dissuasioni.
Alberto Ronchey - Corriere della Sera 20/6/2003 | |
"Città
belle ma sporche" |
|
| Città
italiane, curarle di più. Non è solo in questione "l'emergenza rifiuti" a Napoli,
o l'ecomafia delle discariche. Ben oltre quei casi a sé, gli stranieri che scendono
in Italia con la stagione delle vacanze commentano: "Città belle, ma sporche".
Lo scrivono ai loro giornali, anche se pressoché dovunque le metropoli congestionate
presentano sgradevoli scenari oltre ai guasti del pervasivo inquinamento. Altri
visitatori della penisola, studiosi d'arte o scrittori, dedicano particolari attenzioni
ai monumenti storici, quel complesso che i francesi chiamano patrìmoine e gli
inglesi national heritage, segnalando l'incuria delle amministrazioni locali.
"Eppure - ci ripetono - tante antiche piazze delle vostre città sono musei a cielo
aperto". Esempio, lo scarso rispetto con il quale viene trattata piazza Navona
tra Bernini e Borromini sopra i resti dello Stadio di Domiziano, inconcepibile
per Place Vendôme a Parigi. Ma sulla decorosa tutela dei centri storici, e sul
concetto stesso di decoro, i pareri divergono da tempo tra fautori della permissività
e della severità. Basta ricordare le strenue dispute sugli usi di piazza San Marco
a Venezia, dell'Arena di Verona, delle Terme di Caracalla, di piazza Sordello
a Mantova o dei Loggiati degli Uffizi a Firenze. Chi vuole i luoghi celebri "vissuti"
malgrado qualsiasi abuso, chi li vorrebbe invece "rispettati". Non potrebbero
essere, insieme, vissuti e rispettati? Ma c'è di più, in tema di lassismo. Quanto
costano i restauri sui marmi dei palazzi storici deturpati per gioco vandalico
dalle vernici "spray", vantate come indelebili, che penetrano a fondo nelle antiche
pietre? I giustificazionisti considerano simili sfregi come graffiti moderni,
magari paragonabili a quelli pompeiani anziché a quelli della metropolitana di
New York. Ma in massima parte risultano pretenziosi o demenziali sgorbi, a volte
sfoghi dei fanatismi parapolitici e parasportivi, altre volte anonimi messaggi
personali d'indole infantile. Se anche fossero classici graffiti firmati da Isso
e Astilo redivivi, sarebbero anacronistici oltreché corrosivi sulle pietre antiche,
mentre già recano danni costosi alle abitazioni, ai treni e agli autobus. Ma contro
lo scempio, non opera un'efficace legge "antispray". Vincono i ludici bombolisti.
E sulle disgrazie della vita urbana c'è ancora di più. L'estate, in queste città,
è anche la stagione dell'inquinamento acustico notturno, senza centraline che
possano misurarlo. Domina infatti la mania sagraiola delle radunate canore in
piazza, spesso con impegno delle amministrazioni locali a favore dei bisognosi
d'emozioni collettive, ma contro tutti gli altri che vogliono e devono dormire.
A nulla valgono le suppliche, o proteste, con raccolte di firme. Dunque, ossessivi
echi di voci e ritmiche percussioni, aggressivi suoni tecno, frastuoni propagati
da potenti basi elettroniche. Non è deprecabile, s'intende, un concerto straordinario
come quello recente di Paul McCartney ai Fori, ma lo strepito di ogni notte. All'aperto,
non solo nelle discoteche e neanche nei parchi, ma fra le abitazioni. Si potrà
obiettare che la città, in se stessa, è rumorosa. Ma senza limiti né misura? Si
può anche ricordare che proteste contro i fragori notturni risalgono ai tempi
antichi. Già nell'urbe giovenaliana, tIra un milione di cittadini romani e trasmigrati
persiani, egizi, pannonici, siriaci, Decimo Giunio denunciava clamori che "anche
a un druso, a un leone marino toglierebbero il sonno". Ma non aveva udito ancora
niente. Alberto
Ronchey - Corriere della Sera 16/5/2003 | |
"Monumenti
in questo stato" |
Maggio
2003 | Non
si possono ridurre i monumenti in questo stato. Un celebre film di John Landis
s'intitola 'Tutto in una notte". Prendendo spunto dalla celebre pellicola del
cineasta americano, i supporters della Sampdoria, nell'arco appunto della nottata
tra sabato e domenica, non solo hanno trovato il tempo di festeggiare il ritorno
in serie A, ma anche quello di ridurre piazza De Ferrari e dintorni in un graffito
dalle tinte blucerchiate. 1 tifosi hanno lasciato il loro segno con le bombolette
spray colorate sui muri di Palazzo Ducale, sui porticati dell'Accademia Ligustica
e del Carlo Felice, e su tutti gli edifici che si affacciano su piazza De Ferrari.
"Un vero scempio - ha detto senza mezzi termini Umberto Moretti, tifoso genoano
- e lo dico anche se a fare questo fossero stati i tifosi genoani. Non si può
ridurre una città così". Gli fa eco Adriana Bronzi che osserva che "i danni recati
agli edifici ricordano un po' quelli del G8. Sarebbe stato più bello contenersi".
Facce stupite anche tra i turisti. Michelle e Lucien Morniet, aggirandosi tra
cocci di bottiglie e scritte sulla pavimentazione, hanno precisato che "in Francia,
per festeggiare la nazionale campione del Mondo e d'Europa, nessuno aveva osato
toccare i monumenti". Tra gli scalmanati c'è anche chi ha avuto l'idea di gettare
un water, opportunamente dipinto di rossoblù, dentro la fontana di piazza De Ferrari.
Risultato? L'impatto ha piegato alcune tubature dei getti d'acqua, ed i cocci,
sommati a reggiseni, mutande, bicchieri, trombette e quant'altro, sono andati
ad ostruire gli scarichi. Lavoro dunque per la ditta Isir, che ora dovrà svuotare
la vasca, pulire e forse cambiare alcuni filtri. Tra i più arrabbiati, i commercianti
della zona, che si sono trovati le serrande dipinte ed ammaccate. "A me hanno
addirittura urinato sopra la porta", ha fatto notare Grazia Lisi commessa dell'Europarfums
dal Carlo Felice. Mentre Fabrizio, barman del Bar dell'Accademia, si è visto saccheggiare
il gelato dal frigo dei dessert e finire in pezzi i vasi dei fiori. "Stupita degli
eccessi di un tifo maleducato" anche Margherita, titolare dell'edicola di fronte
al Carlo Felice. Giuseppe
D'Amico - Il Secolo XIX 20/5/2003 | |
Firenze:
la denuncia del Soprintendente |
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| Possiamo
salutare questo come un segnale del nuovo corso storico della Firenze del nuovo
millennio. Un sintomo affatto nuovo nella cultura della tutela del patrimonio
fiorentino. Il soprintendente ai beni architettonici si accorge dell'evidenza
che accompagna la città da decenni. Riconosciamo il merito al nuovo soprintendente
che è stato in grado di invertire la tendenza che ha caratterizzato il
"pressapochismo" e spesso la negligenza dei passati funzionari
di piazza Pitti 1 che non hanno mai avuto il coraggio ne tantomeno la deontologia
professionale di garantire i mini criteri di tutela riconosciuti
da tempo nelle carte del restauro. |
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"Basta
rifiuti.. "
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"Basta rifiuti intorno ai monumenti, via i barboni
dai loggiati delle chiese, basta parabole e antenne che deturpano il paesaggio:
sono i tre cardini della nuova ''crociata'' lanciata da Domenico Valentino soprintendente
per i beni architettonici di Firenze. L' attacco di Valentino nasce da alcune
situazioni che vanno avanti da tempo e a cui il Comune non riesce a dare soluzione.
A convivere con i rifiuti e' Orsanmichele, la chiesa museo a due passi
da Piazza della Signoria. ''Tutti i pomeriggi i mezzi della nettezza urbana si
radunano in via dell' arte della lana, davanti a Orsanmichele, e dai furgoni piccoli
i rifiuti passano nel camion piu' grande. Il tutto avviene con i motori accessi
che emettono gas di scarico molto dannosi per i monumenti. Il passaggio dei
rifiuti - spiega Valentino - avviene in questa via perche' non disturba i
negozianti. Ho parlato con gli assessori di Palazzo Vecchio chiedendo che si cambi
metodo, ma niente accade''. Gli fa eco la direttrice di Orsanmichele, Francesca
Nannelli: ''Caricano li' perche' davanti ai negozi creerebbero problemi, ma i
commercianti devono pensare che i turisti vengono a Firenze per i monumenti e
quando questi non ci saranno piu' sara' peggio anche per loro''. Dai rifiuti alle
antenne e alle parabole. Stamani Valentino ha incontrato alcuni rappresentanti
di Palazzo Vecchio. Avrebbe preferito ci fossero gli assessori anziche' i tecnici,
ecco perche' il soprintendente dice che l' ''incontro e' stato quasi abortito''.
Ma Valentino fara' comunque sapere al Comune le sue idee: ''Parabole trasparenti
o del colore delle tegole dei tetti e possibilmente piu' piccole (30-35 cm); cercare
di arrivare - magari con incentivi - nei grandi condomini ad avere una antenna
e una parabola centralizzata; piu' attenzione al collocamento dei ripetitori per
i cellulari''. Lo sfogo di Valentino termina con il rilancio dell' idea di montare
cancellate a difesa di luoghi artistici, anche per impedire ai barboni di prendere
domicilio sotto i loggiati delle chiese. ''Voglio le cancellate - ha detto - perche'
nessuno vigila. La loggia della chiesa di Borgo San Jacopo, a due passi da Ponte
Vecchio e' diventata la casa di un uomo che addirittura stende abiti e bucato.
In questo caso la soluzione sembra in arrivo perche' mi hanno detto che la cancellata
la metteranno. E poi c'e' la chiesa di Santa Maria dei Ricci il cui ingresso e'
tappezzato da cartelloni e manifesti: e' indegno''. Insomma, per il soprintendente
Valentino a Firenze c'e' ''scarsa attenzione per i monumenti''. (ANSA). 03/04/2003
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