Cosi
l'Istituto del Restauro italiano (ICR) resterà senza casa
I dipendenti dell'ICR chiedono di intervenire perchè l'istituto possa continuare a svolgere il suo ruolo in Italia e all'estero. visto
per dopodomani (26 marzo 2010) l´arrivo dell´ufficiale giudiziario
nella sede a Roma Reputato una gloria per l´Italia il ministero
se ne è disinteressato "Fra poco avremo solo macerie" Gli spazi
in cui dovrebbero trasferirsi sono occupati da altri I proprietari
negano di volerlo trasformare in un albergo Cesare Brandi lo fondò
nel 1939 e lo diresse per vent´anni Si dice che quando San Francesco
di Paola, patrono della Calabria e della gente di mare, venne a
Roma adolescente, nel 1430, fosse scandalizzato dallo sfarzo della
curia e gridasse dietro a un cardinale riccamente abbigliato: «Nostro
Signore non andava così». Severità tradotta nel nome del suo ordine,
che rincarava quello dei Minori francescani: Frati Minimi. E nella
Regola, la quale impone che, «militando i suddetti Chierici e Laici
nella povertà evangelica, non dovranno toccare affatto denaro...
Che se venissero loro sottratte in tutto o in parte le elemosine
temporanee, annuali o perpetue comunque lasciate a quest´Ordine,
non le rivendicheranno per via giudiziaria nè per altra via».
Saltando
le tappe di mezzo, si è tentati di infierire sulla discrepanza fra
quella povertà rigorosa e l'arrivo dell´Ufficiale giudiziario fissato
per dopodomani, 25 marzo 2010, su denuncia degli eredi odierni dei
Frati Minimi, per rendere esecutivo lo sfratto dell´Istituto Centrale
del Restauro dalla sua sede di sempre, la romana chiesa di San Francesco
di Paola e l´adiacente Palazzo Borgia, di cui l´ordine è proprietario.
Non lo faremo, per non perdere il filo della storia, e per non togliere
al Ministero dei Beni Culturali l´ingente responsabilità che gli
compete. Allora: nel 1623 morì a Roma il cappuccino calabrese don
Giovanni Pizzullo da Regina, che da un´umile nascita si era fatto
ricco di mezzi grazie a eredità legate ai suoi meriti, e li legò
a sua volta ai Frati Minimi con l´impegno di costruire la Chiesa
di San Francesco di Paola e il convento accanto a San Pietro in
Vincoli, e di destinarli a collegio di giovani calabresi a Roma
per gli studi ecclesiastici. Le clausole ebbero molte deroghe, come
succede. Niente controlli annui dei libri mastri da parte dei notai,
niente dote alle Convertite, e chissà com´è andata per le 4 messe
all´anno al donatore. Dopo l´intermezzo fra il 1866 e il Concordato
gli edifici tornarono ai frati minimi e nel 1937 furono presi in
affitto dal Comune di Roma, che nel 1939 li subaffittò all´appena
fondato Istituto del Restauro, affidato a Cesare Brandi e da lui
diretto per oltre vent´anni.
L'Istituto
diventò presto una gloria dell´Italia agli occhi del mondo, e lo
è ancora. Le autorità competenti, quando si tratta di far bella
figura, lo mandano in avanscoperta in luoghi di pace e di guerra,
la Cina di Xian o il Museo di Bagdad, per far seguire l´intendenza,
i ministri, gli industriali e gli affari. Insistendo sullo sfoggio
di tecnologia, a scapito del buon occhio e delle mani abili di cui
è fatto spesso il restauro, arte del minimo. "Marines della cultura",
li definì un direttore ministeriale (più sobriamente l´Onu: Caschi
blu della cultura). E però non gli riservano attenzioni affettuose
in casa: al punto dello sfratto. I Frati Minimi, nella sede dei
Monti ridotti davvero al minimo (la Congregazione dispone a Roma
di altre sedi, soprattutto, e gratuitamente, Sant´Andrea delle Fratte,
che è del demanio, se non sbaglio) hanno intimato
lo sfratto nel gennaio del 2008, rifiutando un aumento del
canone fino a 250 mila euro all´anno. Hanno ignorato le risorse
statali investite nel tempo in lavori di consolidamento e messa
a norma, e l´offerta del restauro gratuito della chiesa chiusa da
anni. Negando di progettare un albergo, ma certo avendo una qualche
mira, e una gran fretta, collegata al rilancio di via Cavour, i
frati hanno puntato senz´altro, passando sopra la Regola, all´Ufficiale
giudiziario, che è diventato un habitué, accolto dalla mobilitazione
delle persone dell´Istituto. Le quali erano rassegnate da tempo
a trasferirsi nella nuova sede designata di San Michele a Ripa,
in cui sono già passati il laboratorio di fisica e alcune attività
Solo che nel fratempo buona parte del san michele veniva occupata 'in deroga' da altri uffici del ministero, riducendo drasticamente lo spazio disponibile e separando i locali che dovrebbero essere comunicanti, tanto più per un attività che si fonda sull'interdisciplinarità e l'attitudine a lavorare insieme, storici archeologi, architetti, scientifici, retauratori, custodi e docenti e allievi. Non solo: lungi dall'adeguarsi alle esigenze dell'istituto, gli spazi designati, hanno bisogno di lavori preliminari che li tengano in piedi. E anche dopo, spazi come il carcere femminile, il ballatoio e le infime celle, non sono certo pronti al nuovo uso. Ammesso che l'ostinazione dei Frati fosse invincibile (una migliore volontà avrebbe forse trasferito la trattativa a un livello più alto), anche rispetto alla ragionevole richiesta di una dilazione del trasloco, il Ministero ha mostrato un singolare disinterese a preparare le condizioni perchè lo sfratto non fosse una rotta.
Comunicati
piuttosto trionfali sono comparsi nei giorni scorsi, a proposito
di un accordo fra ministero e sindacati sul «ritorno nei locali
originariamente destinati all´Istituto ai tempi di Giovanni Urbani
nel Complesso di San Michele, con accesso da piazza di Porta Portese».
Ai tempi di Urbani vuol dire fin prima del 1983! Ma nella stessa
risposta ministeriale alla Camera che vanta l´accordo si assicurano
"lavori triennali di restauro e adeguamento dei locali necessari
alla sistemazione dell´Istituto": triennali, quand´anche lo fossero
davvero, mentre l´appuntamento con l´ufficiale giudiziario è fra
qualche ora. La linea di difesa è retrocessa ormai all´auspicio
che i frati non riescano a far intervenire la forza pubblica.
Nell´antica
sede ci sono Direzione e uffici, chimica e biologia, biblioteca
e archivi, e le attrezzature speciali, costosissime e fragili al
punto di far dubitare del trasporto. E il trasloco comporta anche
la rinuncia a insediare nel Palazzo Borgia il Museo del Restauro.
Aveva un marchio prezioso,
L'stituto
Centrale del Restauro. Cambiato per uno più prosaico e dilapidatore,
Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro. Superiore
un cavolo, dicono questi rigorosi professionisti convertiti ai sit-in.
Si sono battuti in modo ammirevole, tanto più che non era in causa
il loro posto di lavoro, ma l´amore e l´orgoglio per quel lavoro.
Le scuole sono sospese da 4 anni – se ne annuncia
una ripresa in autunno: vedremo - gli ultimi
concorsi per i restauratori sono di otto anni fa, quelli per i funzionari
sono bloccati, con un´età media sui 60,
la trasmissione di sapere che è la forza dell´Istituto è vicina
a spezzarsi. Qualcuno di loro si vergogna un po´ di elemosinare
l´attenzione – avara - dei media mentre a pochi passi da lì la gente
sale sul cornicione del Colosseo. Già: il pane e le rose. Via il
pane, via le rose. Qualcuno di loro pensa che al Ministero, ottusità
burocratica a parte, non dispiaccia di far fuori l´Istituto, in
pro di privati e di conduzioni pubblicitarie che fanno affari svelti
con mostre di grido e capolavori feticcio, e detestano le obiezioni
sugli spostamenti delle opere e sulla tutela del contesto. Che si
voglia dissociare tutela e valorizzazione, e che quest´ultima sia
resa mestiere di comunicatori, Big Mac o Cenacolo delle Grazie.
Intanto
le opere aspettano: il Caravaggio francese, i Bronzi di Riace, l´aquilana
Madonna di Collemaggio. Chiedono, le petizioni dell´Istituto, una
proroga «di almeno due anni»: «ancora un minuto, per favore, signor
boia». Dice amaro Giuseppe Basile: «Fra poco vedremo soltanto macerie.
L´Istituto viene usato per gli annunci a effetto, come il restauro
della Grande Muraglia cinese (seimila chilometri a costo zero!)».
L´unico manufatto umano visibile dalla luna. Dopodomani, dunque,
tutti a vedere l´ufficiale giudiziario che dovrebbe mettere i sigilli.
Eventi così se li sognano, nel resto del mondo. Lo sfratto dell´Istituto
Centrale del Restauro: la pittoresca malefatta umana visibile a
occhio nudo dalla luna."
ADRIANO
SOFRI 23 MARZO 2010, LA REPUBBLICA
Tav.
Arch. Massimo Carmassi, S. Michele in Borgo - Pisa
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