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Un
commento alla nuova legge urbanistica |
14
ottobre 2005 |
"Un
commento alla nuova legge urbanistica nazionale e alcune proposte alternative”.
Un notevole saggio in corso di pubblicazione sul n. 3-2005 della rivista Democrazia
e Diritto. La cosiddetta “legge Lupi” è il nuovo disegno di legge nazionale intitolato
“Principi in materia di governo del territorio”, approvato dalla Camera dei deputati
il 28 giugno 2005 e ora iscritto al Senato con il n. 3519. Il testo votato
è destinato a sostituire buona parte delle leggi urbanistiche vigenti, dalla legge
1150 del 1942 a quelle che negli anni ’60 trattano dell’interesse pubblico
nelle azioni urbanistiche, prevedendone l’abrogazione diretta[1] o la decadenza
ove le Regioni emanino normative sui medesimi oggetti[2]. Il disegno di legge
risulta dall’unificazione di otto disegni di legge diversi, presentati da gruppi
di deputati che vanno da AN e Forza Italia a Margherita, DS, Verdi e Rifondazione,
e da numerosi emendamenti approvati alla Camera prima del voto sul provvedimento
complessivo. Oggetto di un voto segreto parzialmente bipartisan[3] difficilmente
comprensibile, spiegabile forse soltanto con la scarsa cultura urbanistica e dei
beni comuni che caratterizza gran parte degli attuali deputati[4], è caduto nell’assordante
silenzio[5] della stampa, occupata a fornirci quotidianamente notizie il più possibile
inessenziali. Lo scandalo non sta tanto nei voti della sinistra a una legge di
destra, al di là del fatto che questi termini abbiano ancora un significato in
molte scelte relative al rapporto tra pubblico e privato, ma nell’ampia approvazione
data a uno strumento il cui impianto e i cui contenuti, malgrado dichiarazioni
sfacciate che l’hanno definito “una delle riforme più importanti per la modernizzazione
del nostro paese”[6], sono assai arretrati e confusi rispetto alle discipline
in essere nei principali paesi occidentali avanzati, senza neppure costituire
una legge quadro che riorganizzi l’intera materia in modo sistematico. La legge
in effetti si limita a disciplinare la sola materia urbanistica[7], non affrontando
né la definizione di governo del territorio né gli altri temi che la sostanziano:
paesaggio, ambiente, assetto idrogeologico, ecc.[8]. Le valutazioni politiche
più sobrie evidenziano la confusione di ruoli tra soggetti pubblici e privati[9];
il riferimento ad alcuni contenuti di leggi regionali già vigenti anziché l’elaborazione
di principi adeguati a una legge nazionale, quali la partecipazione democratica
dei cittadini alla formazione degli atti di governo e la sostenibilità ambientale[10];
l’intrusione del governo nazionale in materie delegate alle Regioni, la scarsa
innovazione e l’eccessiva flessibilità, l’assenza di contenuti relativi alle funzioni
settoriali proprie dello Stato e alla loro necessaria integrazione nelle azioni
di programmazione e pianificazione, la mancata soluzione della dipendenza finanziaria
dei Comuni dall’ICI e quindi la loro condanna a perseguire immotivate politiche
di espansione dell’urbanizzato per far quadrare il bilancio[11] in una perversa
alleanza con le forze immobiliariste. Dei diversi contenuti del disegno di legge
tentiamo un commento il più possibile ragionato, con l’augurio di vederlo pubblicato
e letto prima del voto in Senato. Per poter dare una valutazione non tattica del
testo normativo è tuttavia necessario delineare per sommi capi il contesto in
cui esso interviene, caratterizzato da profondi cambiamenti intervenuti negli
ultimi decenni: a quali problematiche relative alle trasformazioni territoriali
occorre far oggi riferimento? Quali nuovi ruoli può giocare il territorio nelle
scelte di sviluppo locale? Come cambiano le funzioni di governo del territorio
e degli enti pubblici territoriali? i Magnaghi,
Alberto; Marson, Anna www.eddyburg.it, Data di pubblicazione: 04.10.2005 |
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Immobili
leggi e affari: Le mani sulla città |
30
giugno 2005
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"Ricucci,
Coppola, Statuto, le loro fidanzate e mogli, le Bmw e gli amici, i loro protettori
politici... Sono il tema del giorno, della politica e dell'economia; sono da mesi
sulle prime pagine dei giornali, forse perché molto appariscenti o forse perché
qualche giornale vogliono comprarselo; danno corpo e facce alla rendita immobiliare,
l'unica realtà dell'economia italiana che gode di ottima salute e che hanno rivestito
e travestito con uno spigliato look finanziario. Del tutto fuori dai riflettori,
anzi seminascosta al grande pubblico, è passata invece una notizia che con la
rendita immobiliare e con i suoi eroi ha parecchio a che vedere: l'approvazione
da parte della camera dei deputati di una riforma urbanistica che premia al valore
i suddetti eroi - e tanti altri, anche più antichi -chiamando i proprietari fondiari
a scrivere i piani regolatori. La riforma porta il nome di Maurizio Lupi, astro
emergente - anzi ormai emerso - di Forza Italia, ramo lombardo-ciellino,
che già ne aveva ideato il prototipo da giovane assessore all'urbanistica milanese.
Uno dei suoi capisaldi è la sostituzione degli «atti
autoritativi» con gli «atti negoziali». La scelta linguistica è abile:
come non essere d'accordo? Non siamo tutti per il negoziato e contro l'autoritarismo?
Senonché tradotto in urbanistica questo vuoi dire che i
comuni dovranno contrattare i piani regolatori e le loro varianti con i soggetti
economici interessati: i costruttori, i proprietari delle aree, gli intermediari,
i fondi immobiliari. Come far scrivere alle volpi le regole sui pollai.
Ma non è tutto. La riforma - che per diventare legge attende ancora il
via libera del senato - elimina anche i vecchi e rigidi «standard urbanistici»,
quell'antico armamentario in base al quale ognuno di noi cittadini di un certo
quartiere aveva diritto, almeno sulla carta, a un tot di verde, un tot di servizi
collettivi, un tot di spazi comuni. Con l'urbanistica nuovo modello, il livello
minimo di servizi e spazi è solo un auspicio mentre gli standard diventano flessibili
e - manco a dirlo - contrattati. Ciliegine: si introduce
il silenzio assenso per le concessioni edilizie; la tutela del paesaggio è scorporata,
non ha più niente a che vedere con la pianificazione delle città. Tra
gli addetti ai lavori che seguono la riforma, i fautori - tutta la destra ma anche,
con distinguo vari, parte del centrosinistra - la dipingono come una modernizzazione,
che sancisce la fine del dirigismo del vecchio piano regolatore a favore di una
più disinvolta gestione della realtà. Mentre il drappello degli urbanisti in solitària
rivolta contro la legge Lupi parla di «trionfo della rendita». Sta di fatto che
siamo al termine di un decennio eccezionale per tutto il settore economico che
gravita intorno agli immobili: compravendite, valorizzazioni, affitti, intermediazioni,
ristrutturazioni, e adesso anche nuove costruzioni, sono le sole voci con segno
«più» nei bilanci italiani. Alla fine della corsa, arriva una legge che da un
ruolo «pubblico» ai privati miracolati dalla bolla immobiliare. Chiamandoli a
sedere attorno a un tavolo che possiamo immaginare così: di qua, i sin-daci e
gli assessori dei nostri comuni sempre più poveri e indebitati; di là, i soggetti
economici privati con i portafogli ben rigonfi. Chissà chi condurrà il gioco.
Ma al di là del merito della legge, quel che colpisce è il silenzio-assenso
generale nel quale sta passando, soprattutto se confrontato con il gran chiasso
che circonda in questi mesi il boom della rendita immobiliare. Qualcosa di simile
si è Visto sulla questione della giustizia, quando mezza Italia si è mobilitata
contro la norma particolare salva-Previti e poi ha smobilitato quando si è passati
all'assalto generale alla giustizia. Anche stavolta, si guarda al singolo caso
presente -l'exploit di un oscuro intermediario immobiliare che adesso ha la pretesa
di comprare banche e giornali - e ci si disinteressa della generalità dei casi
futuri. Cioè, della faccia delle nostre città. " ROBERTA
CARLINI Il Manifesto, 01/07/2005 |
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Primo
sì alla legge urbanistica |
30
giugno 2005
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"La
legge urbanistica si prepara la svolta: il disegno di legge approvato dalla Camera,
fissa le competenze tra Stato e autonomie dopo le modifiche alla Costituzione
C'è anche il silenzio-assenso per la concessione edilizia nel disegno di
legge sul governo del territorio approvato dalla Camera martedì. L'ha introdotta,
proprio all'ultimo comma, l'ultimo emendamento approvato su proposta di Forza
Italia: quello che introduce l'articolo 13 con l'elenco delle norme da considerare
abrogate in quanto incompatibili con la nuova disciplina. Il silenzio assenso
sostituisce il silenzio rifiuto previsto oggi al comma 9 dell'articolo 20 del
testo unico s u l l ' e d i l i z i a ( Dpr 380/ 2001). La modifica, qualora la
legge fosse approvata anche dal Senato, comporterebbe un ulteriore spostamento
delle domande dallo strumento della Super Dia, prevista nello stesso testo unico,
verso la concessione. Un movimento già in atto, visto che non pochi sostengono
già oggi che il procedimento della Super Dia tutela poco chi lo utilizza nel caso
di pesanti operazioni di ristrutturazione. A confermare il passo indietro sulla
Superdia è lo stessa legge varata da Montecitorio. Dopo il braccio di ferro con
cui lo Stato aveva imposto alle Regioni l'allargamento della Dia, ora la " legge
Lupi", attentissima a un rapporto equilibrato con i Governatori, fa una parziale
marcia indietro: e lascia libere le Regioni, con il comma 1 dell'articolo 11,
di individuare « le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai
quali l'interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività
in luogo della domanda di permesso di costruire » . Ma la legge sul governo del
territorio è soprattutto riforma della legge urbanistica del 1942 ( è la n. 1150)
e ammodernamento degli strumenti urbanistici. Con l'obiettivo di sanare dieci
anni di ritardo della legislazione statale rispetto alle legislazioni regionali
e di consolidare le discipline regionali, andate avanti a forza di strappi. Formalmente,
la legge approvata a Montecitorio è anche la prima legge di principi dello Stato
sulle materie a competenza concorrente. Una legge leggera nella forma ( qualche
detrattore la definisce " legge di slogan") ma pesante nella sostanza. Il salto
rispetto alla disciplina statale vigente è enorme — una specie di crollo del muro
di Berlino — con l'abbandono della vecchia urbanistica dirigista fondata sul Piano
regolatore unico e sugli espropri e l'avvio di una nuova urbanistica cui non manca
nessuno degli strumenti innovativi sperimentati dalle Regioni in questi anni:
! lo sdoppiamento del vecchio Piano regolatore generale, ora « piano urbanistico
» comunale in « strutturale » per le invarianti di lungo periodo e « operativo
» con le destinazioni di uso delle aree ( articolo 6); " l'utilizzo di strumenti
di redistribuzione dei « diritti edificatori » all'interno di comparti omogenei,
come la compensazione e la perequazione ( articolo 9); # la priorità data agli
interventi di rinnovo urbano rispetto alla nuova edificazione ( articolo 6, comma
4); $ il principio di sussidiarietà verticale che elimina le sovrapposizioni di
competenza fra Regioni, Province e Comuni, assegnando al Comune le competenze
di pianificazione urbanistica e di « soggetto primario titolare delle funzioni
di governo del territorio » ( articolo 5); % le premialità assegnate in termini
di metri cubi aggiuntivi « al fine di favorire il rinnovo ubrano e la prevenzione
di rischi naturali e tecnologici » ( articolo 9, comma 4); la legittimazione definitiva
di strumenti di urbanistica negoziata che qui vengono individuati come prioritari
ed elevati a sistema, per quanto debbano avvenire « nel rispetto dei principi
di imparzialità amministrativa, di trasparenza, di concorernzialità, di pubblicità
e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all'intervento
» ( articolo 5, comma 4); ' la sostanziale riforma degli « standard » che abbandona
il rigido rapporto quantitativo fra aree edificabili e aree da destinare agli
interessi collettivi per prevedere, invece, in funzione della necessità delle
singole aree, lo sviluppo di servizi adeguati ( si pensi a parcheggi o a centri
sportivi) che potranno anche essere forniti direttamente da privati anziché attraverso
il circuito esproprio opera pubblica ( articolo 7). Recepiti gli strumenti sperimentati
in sede locale Dai privati le aree per parcheggi e centri sportivi" Il
Sole 24-Ore - 30 giugno 2005 |
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Approvata
alla camera |
giugno
2005
| "Così,
ce l’hanno fatta. La legge Lupi è stata approvata dalla Camera dei Deputati. Con
l’appoggio del centrosinistra: è una legge bipartisan, ha detto l’on. Mantini,
della Margherita. E il diessino on. Sandri aveva ripetuto spesso che il limite
della legge è di essere “solo” una legge urbanistica, di non affrontare le altre
questioni che, insieme all’urbanistica, compongono il più vasto quadro del governo
del territorio. Il rovesciamento dell’urbanistica, il trasferimento di poteri
dal pubblico al privato, l’ingresso formale della rendita immobiliare al tavolo
dove si decide, questa è la linea che ha vinto: con l’accordo pieno della Margherita,
la complicità dei DS, l’ignavia degli altri. E con la copertura culturale dell’Istituto
nazionale di urbanistica, nel silenzio dell’accademia. I lettori di Eddyburg sanno
perchè quella legge è nefasta. Ne abbiamo parlato in numerosi articoli. Abbiamo
promosso un appello, sul quale abbiamo raccolto 400 firme. Dall’appello, riprendiamo
i punti essenziali della critica. 1) Si sostituiscono gli “atti autoritativi”,
e cioè la normale attività pubblica di pianificazione, con gli “atti negoziali
con i soggetti interessati”. La relazione di accompagnamento della legge specifica
che i soggetti interessati non si identificano – come sarebbe auspicabile - con
la pluralità dei cittadini che hanno diritto ad avere una ambiente urbano vivibile
e salubre, ma si identificano invece con la ristretta cerchia degli operatori
economici. Un diritto collettivo viene dunque sostituito con la sommatoria di
interessi particolari: prevalenti, quelli immobiliari. I luoghi della vita comune,
le città e il territorio vengono affidati alle convenienze del mercato. 2) Si
sopprime l’obbligo di riservare determinate quantità di aree alle esigenze di
verde, servizi collettivi (scuole, sanità, sport, cultura, ricreazione) e spazi
di vita comuni per i cittadini, ottenuto decenni fa grazie a un impegno massiccio
delle associazioni culturali, delle organizzazioni sindacali, del movimento associativo
e di quello femminile, delle forze politiche attente alle esigenze della società.
Gli “standard urbanistici” sono infatti sostituiti dalla raccomandazione di “garantire
comunque un livello minimo” di attrezzature e servizi, “anche con il concorso
di soggetti privati”. 3) Si esclude la tutela del paesaggio e dei beni culturali
dagli impegni della pianificazione ordinaria delle città e del territorio. Contraddicendo
una linea di pensiero che, da oltre mezzo secolo, aveva tentato di integrare con
la pianificazione i diversi aspetti e interessi sul territorio in una visione
pubblica unitaria, contraddicendo gli indirizzi culturali e legislativi che dalle
leggi del 1939 e del 1942 avevano condotto alla “legge Galasso” e alle successive
leggi regionali, paesaggio e trasformazioni territoriali sono divisi: affidati
a leggi diverse, a uomini diversi, a strumenti diversi. Non c’è dubbio a chi spetterà
la parola in caso di contrasti: non certo a chi rappresenta i musei e il bel Paese,
ma a chi investe, occupa, trasforma, agli “energumeni del cemento armato”, pubblico
e privato. Una legge che rende permanenti le regole della distruzione del paese,
avviate con i condoni. Una legge che rende evanescenti i diritti sociali della
città, conquistati al prezzo di dure lotte. Una legge che rende dominanti su tutti
gli interessi della rendita immobiliare. E su quest’ultimo punto il cedimento
della componente diessina della sinistra alle impostazioni di Forza Italia non
può non essere messa in relazione con altre vicende. Anche a non voler ricordare
le voci sugli intrecci tra la “finanza rossa”, i suoi patron politici e le fortune
degli immobiliaristi alla Ricucci, occorrerebbe essere davvero ingenui per non
vedere il nesso che lega il comportamento dei parlamentari dei DS con le politiche
locali che vedono esponenti di quel partito premiare gli interessi della proprietà
immobiliare, a Caorle come nella riviera romagnola come nell’Agro romano. E come
non sottolineare infine la contraddizione tra una politica, coerentemente tesa
a premiare la rendita, con la constatazione che il declino industriale dell’Italia
dipende, in modo essenziale, sul fatto che si sono tollerati, o addirittura incoraggiati,
flussi di investimenti verso la speculazione immobiliare, distraendoli così dagli
impieghi produttivi? Non tutto è ancora perduto. La parola spetta adesso al Senato.
La denuncia ha ancora una sede cui fare appello, la ragione ha ancora uno spazio
per farsi sentire." Edoardo
Salzano
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URBANISTICA
una legge da fermare |
20
marzo 2005
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"Competitività.
La nuova disciplina delle Teresa Cannarozzo, ordinario di Urbanistica, Università
di Palermo Alessandro Dal Piaz, ordinario di Urbanistica, Università di Napoli,
Federico II Tommaso Giura Longo, ordinario di Progettazione Architettonica, Università
di Roma Tre. Cara Unità, sembrerebbe che quasi tutta la stampa italiana abbia
"rapporti di parentela aziendale" con i formidabili interessi immobiliari che
dominano lo sviluppo urbano nel nostro paese. Infatti finora solo l'Unità (8 febbraio
u. s.) ha trovato lo spazio per dare voce a chi si oppone alla legge urbanistica
proposta dall'on. Lupi, che è andata in discussione alla camera dei Deputati.
Una di queste voci è quella di Vittorio Emiliani che, autorevole e allarmata,
vede nella legge Lupi lo strumento per subordinare la definizione dei piani
urbanistici alle volontà dei privati proprietari di aree, delle società immobiliari
e dei "palazzinari". La stessa posizione di Emiliani è stata assunta dalla
benemerita associazione Italia Nostra e dai noti urbanisti Vezio De Lucia ed Edoardo
Salzano che esortano alla mobilitazione contro la legge Lupi. Crediamo giusto
aderire al fronte degli oppositori per i seguenti tre motivi: -
Il testo di legge in discussione priverà i comuni dei loro poteri fondamentli
e democratici e li spingerà a contrattare con gli speculatori il destino futuro
delle città; -
comporterà l'abolizione del rispetto degli standard urbanistici (verde pubblico,
parcheggi, scuole, sport, attrezzature pubbliche); -
la tutela del paesaggio e dei beni culturali non farà parte dei compiti spettanti
alla pianificazione delle città e del loro territorio." 20/03/2005
- L'Unità |
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La
Dia per iniziare un'attività |
12
marzo 2005
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"Competitività.
La nuova disciplina delle autorizzazioni modifica la procedura della legge n.
241/90 Con la p.a. i cittadini fanno da sé Le materie escluse dalla nuova Dia:
anche tutela del patrimonio culturale e paesaggistico nonché dell'ambiente, oltre
a difesa nazionale; pubblica sicurezza, immigrazione - Amministrazione della giustizia
- Amministrazione delle finanze (compresi gli atti riguardanti le reti di acquisizione
del gettito, derivante anche dal gioco) - Atti imposti dalla normativa comunitaria
Autorizzazioni, addio. Per la quasi totalità dei casi basterà infatti una Dichiarazione
di inizio attività del cittadino, comprensiva delle documentazioni e autocertificazioni
E dopo 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione scatta il silenzio-assenso
da parte della p.a. direttamente interessata. Una rivoluzione contenuta nel pacchetto
competitività approvato dal consiglio dei ministri nella seduta di ieri pomeriggio.
Ma vediamo nel dettaglio la problematica in questione. La disciplina precedente.
Il precedente testo dell'articolo 19 della legge n. 241/90 (modificato con il
nuovo di) prevedeva la possibilità di applicare l'istituto della Dichiarazione
di inizio attività (Dia) «in tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata
sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nullaosta, permesso
o altro atto di consenso comunque denominato, a esclusione dei titoli edilizi",
purché il rilascio dipendesse «esclusivamente dall'accertamento dei presupposti
e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino
valutazioni tecniche discrezionali», non prevedendo quindi «alcun limite o contingente
complessivo per il rilascio degli atti stessi». Il termine per l'ottenimento
del silenzio-assenso era fissato in 30 giorni. Tale disposizione non era stata
modificata nel corso degli anni. Di fatto, tuttavia, sia con il dlgs n. 114/98
(riforma del commercio) sia con il dpr n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia)
erano stati introdotti specifici meccanismi facilitativi, a favore del cittadino,
al fine di meglio snellire il rapporto con le p.a. L'intervento legislativo. Il
nuovo testo dell'articolo 19 della legge n. 241/90 estende ora a tutte le tipologie
di autorizzazioni amministrative l'istituto delle Denunce di inizio attività,
già previsto in materia edilizia e commerciale. La Dia sarà infatti possibile
per qual-siasi tipo di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso
o nullaosta, comprese anche le domande per le iscrizioni in albi o ruoli per lo
svolgimento delle attività di impresa, commercio o artigianato. Il rilascio deve
dipendere solo dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti
amministrativi a contenuto generale. Non deve essere previsto nessun limite o
contingente, come neppure l'applicazione di strumenti di programmazione settoriale
per il rilascio di tali atti. Sono escluse da tale rivoluzione diverse tipologie
di atti, rilasciati dalle p.a. competenti, indicate nel grafico riportato a fianco.
Caratteristiche della Dia. La nuova Dia deve ricomprendere una dichiarazione del
cittadino interessato, corredata anche con autocertificazioni, certificazioni
e attestazioni richieste dalla disciplina normativa in vigore. Spetta a ciascuna
p.a. la possibilità (e non più l'obbligo, come originariamente inteso dal legislatore)
di «richiedere informazioni o certificazioni» che riguardino fatti, stati o qualità,
e comunque solo nel caso in cui non risultino già attestati in documenti già in
possesso della stessa p.a. o non siano direttamente ottenibili presso altre p.a.
Termini di avvio dell'attività. L'attività interessata dalla dichiarazione può
essere iniziata dopo 30 giorni dalla sua presentazione alla p.a. interessata.
Di tale avvio deve essere data notizia alla p.a. stessa. Intervento della p.a.
Nei caso in cui la p.a. competente al rilascio dell'autorizzazione dovesse accertare
la mancanza delle condizioni, delle modalità e dei fatti che consentono l'ottenimento
del silenzio-assenso, entro il termine perentorio dei 30 giorni, che scattano
a seguito dell'avvenuto ricevimento Ottenimento dei pareri. Qualora poi la legge
dovesse prevedere, per la specifica disciplina di settore, l'ottenimento di pareri
di organi o enti appositi è sospeso il termine per l'emanazione dei provvedimenti
di divieto di continuazione dell'attività e di eliminazione dei suoi effetti.
Tale sospensione vale fino all'avvenuta acquisizione di tali pareri, fino a un
termine massimo di 30 giorni. Scaduto quest'ultimo termine la p.a. competente
può adottare i propri provvedimenti, indipendentemente dall'ottenimento del parere.
Deve essere data comunicazione della sospensione all'interessato. Caso dei termini
diversi. Il legislatore precisa che restane ferme le disposizioni legislative
vigenti, che prevedono termini diversi rispetto a quelli sopraccitati per l'inizio
dell'attività e per l'adozione, da parte della p.a. interessata, dei provvedimenti
di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti. Un caso
evidente è quello delle Dia e delle Super-dia in materia di edilizia, disciplinate
dal dpr n. 380/2001, in combinato disposto con le rispettive leggi regionali in
materia, per le quali è prevista l'applicazione dei termini inferiori (rispetto
a quelli indicati dal legislatore nazionale), se espressamente previsti." 12/03/2005,
Italia Oggi 12-MAR 2005 |
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Silenzio
assenso finisce nel disegno di legge |
12
marzo 2005
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"Due
distinti provvedimenti legislativi fatti su misura per diventare un corpo unico
azionando la leva parlamentare. Mantiene questa fisionomia il piano per la competitività
anche dopo le numerose modifiche apportate dal Consiglio dei ministri nel varare
il decreto legge e il disegno di legge. Prime fra tutte quelle riguardanti il
capitolo degli incentivi e delle risorse per lo sviluppo e quello della riforma
delle libere professioni. Nel primo caso è stato ridimensionato, rispetto alle
bozze dei giorni scorsi, il ruolo di Sviluppo Italia mentre è stato confermato
il premio di concentrazione per le piccole e medie imprese sotto forma di credito
d'imposta del 30 per cento. Per le professioni il pacchetto inserito nel DL si
è leggermente arricchito. Esempi emblematici dell'operazione in due fasi sono
la riforma del diritto fallimentare, rimasta immutata rispetto alla bozza d'ingresso
(si veda 11 Sole 24 Ore di ieri), e il piano di semplificazioni. Che riserva però
una sorpresa: il silenzio-assenso viene dirottato dal DL al disegno di legge .
Le misure sulla Denuncia di inizio attività (termine di riferimento 30 giorni),
restano nel decreto ma non si applicheranno ai Beni culturali e paesaggistici(soddisfatto il ministro Giuliano Urbani, anche il ministro Mario Baccini
parla di «svolta epocale»). Il collegamento tra decreto e Ddl è più sfumato nel
caso della gestione delle risorse per lo sviluppo (Sud compreso). Confermata la
riforma degli incentivi. Oltre al premio di concentrazione per le Pmi, il DL sancisce
poi l'abolizione dell'Ici sui capannoni industriali (abrograzione della norma
della Finanziaria 2O05 che stabiliva il valore catastale anche dei «fabbricati
mobili», come turbine elettriche e ponti mobìli). Previsto poi l'irrobustimento
del Fondo per le aziende in crisi (100 milioni), da cui pere non attingerà direttamente
risorse Sviluppo Italia. Resterà infatti il Cipe a ricoprire il ruolo principale
attraverso il Comitato per lo sviluppo (erogazione dei fondi) e il Comitato pei
l'attrazione degli investimenti entro cui opererà Sviluppo Italia. Sempre il decreto
prevede la destinazione di almeno il 30% del Fondo rotativo di sostegno alle imprese
ad attività e progetti strategici di ricerca. Nel Dd] invece trovano posto, come
già noto, le agevolazioni (aumento della deducibilità Irap), per i neo-assunti
al Sud. Quanto alle professioni, inizia a delinearsi un sistema di "accreditamento"
dei professionisti diverso dadi Ordini. Dopo un duro braccio di ferro il ministro
della Giustizia Roberto Castelli, appoggiato dai ministri di An, è riuscito a
inserire il testo approvato nei giorni scorsi dai "saggi" (il Guardasigilli, il
sottosegretario Michele Vietti e il vice presidente vicario di An, Ignazio La
Russa). Per altro, sul testo si è registrata la convergenza delle varie componenti
professionali, dagli Ordini alle associazioni "emergenti". Grazie al decreto sarà
dunque possibile il riconoscimento delle Associazioni di professionisti che non
esercitano attività regolamentate e tipiche svolte dagli iscritti agli Ordini
(si veda la scheda). «Le misure del decreto legge — ha detto Castelli — mettono
le premesse per una disciplina più organica da inserire nel corso della conversione.
Abbiamo il tempo a disposizione per trovare un accordo sulle norme che facilitino
la competitività anche nelle professioni». Le società, in particolare quelle di
capitali con soci non professionisti, continuano a essere il punto più delicato.
M.Carla
De Cesari M. Rogar | |