"La
cultura come motore di sviluppo. Pochi investimenti per ripartire"
"Caro
direttore, se il nuovo governo fondasse, in mezzo alla crisi, una
politica della cultura? Poco si ricava dal passato: alle ideologie
scadute è succeduta la gestione dell'emergenza tappando i buchi
e quella degli eventi gratificando i politici. Né è possibile tornare
alla spesa di un tempo: vi è stato un calo continuo dei finanziamenti
(salvo il Lotto escogitato da Veltroni), fino ai tagli finali. Dobbiamo
tornare alla Costituzione, stiracchiata in questi anni da letture
distorte, che invece va rispettata secondo le interpretazioni della
Corte Costituzionale e le formulazioni del Codice dei beni culturali.
Per esse la tutela è riservata allo Stato, ma questa supremazia
è mal digerita, tanto che nessun piano paesaggistico è stato ancora
approvato dallo Stato e dalle Regioni, come il Codice esige. Si
è preferito sparpagliare cemento con «piani casa», piuttosto che
riprogettare e ricostruire brutture e degradi. E si è anche approfittato
dei «piani casa» per sforzare il Codice, come si è tentato nel Lazio;
per non dire dei tentativi ripetuti, per fortuna respinti, di diminuire
in materia i poteri dei soprintendenti. Il nostro ministero è stato
tra i due più colpiti dai tagli di Tremonti: mai si era vista tanta
avversione alla cultura."
L'organico
del ministero è ridotto ai minimi termini: troppi interim,
funzionari costretti a esaminare pratiche delicate in cinque minuti,
saperi tradizionali che si perdono, nuove saperi che non si affacciano...
Non è quindi sopportabile il taglio del 20 per cento all'organico
che si prospetta: perderemmo oltre 30 funzionari e avremmo un esubero
di oltre 3000 dipendenti su 21000. Saremo costretti, per salvare
le soprintendenze, a mandare in trincea direttori regionali, direttori
generali? Ben vengano dunque le 168 nuove assunzioni, ormai certe.
Per gli investimenti abbiamo un poco più un terzo di quanto il ministero,
pur tanto ridotto, riesce a spendere. Tutelare presuppone non soltanto
dire «no» ma mantenere il patrimonio, e ciò implica investimenti.
Siamo molto al di sotto di quel che potremmo definire il limite
minimo di funzionalità che la Costituzione impone. Se la condizione
dovesse perdurare, i beni verrebbero danneggiati in modo irreparabile.
I
fondi di investimento devono pertanto risalire
— si sono aggiunti recentemente un'ottantina di milioni di euro
e 105 per Pompei — fino ad arrivare ad almeno ai 500 milioni annui
(ne abbiamo circa 180). Per avviare un progetto della cultura organico,
servirebbe un ministero con competenze allargate alla produzione
culturale, sia artistica sia imprenditoriale, e al turismo culturale.
Cultura viene da colere: coltivare, abitare, quindi non soltanto
l'alta cultura. Per dare al ministero la importanza che gli spetta,
bisogna ricordare che il nostro patrimonio e la nostra creatività
sono le fonti della nostra identità e della stessa capacità di essere
cittadini pensanti e sono anche le fonti necessarie per consentire
agli asiatici di capire radici e ragioni della civiltà occidentale.
Ma siamo preparati al Global Tour? Bisogna poi avere fiducia nell'amministrazione.
È vero che andrebbe ringiovanita e dotata di nuove competenze gestionali,
informatiche e comunicative, ma essa rappresenta comunque il meglio
di cui disponiamo per la tutela.
Altro
discorso è l'aiuto sistematico che le università potrebbero dare
alla conoscenza del patrimonio, ancora da inventare. Sono stati
sperimentati di recente manager e commissari, con risultato indiscutibile
soltanto per l'archeologia di Roma, perché il Commissario era Roberto
Cecchi, il funzionario più competente di rischio sismico e di manutenzione
programmata. L'esperienza fa concludere che serve una managerialità
intrisa di conoscenza specifica, perché se nel campo delle merci
è facile saltare da un campo all'altro, entrare da fuori nella cultura
è arduo. Bisogna insomma motivare la squadra amministrativa, rendendola
ad un tempo coesa e aperta verso le competenze esterne. Per ottenere
ciò servono riunioni periodiche tra un ministro assiduo e regista
e i vertici del ministero, finora mai avvenute. In tempi di vacche
magre non vi sono risorse perla cultura, pensano i più; come se
la cultura servisse ancora soltanto ai piani alti della società,
come avveniva nel mondo industriale, quando primeggiavano i borghesi.
Ma
nel mondo post-industriale e del terziario, il sapere è collegato
strettamente al fare, per cui la cultura serve anche ai piani intermedi
della società, all'intero ceto medio. È oggi immaginabile uno sviluppo
che non sia anche crescita della ricerca e della cultura? Ecco il
rivolgimento che è chiamato a compiere questo governo di meritevoli:
integrare beni e produzioni culturali nella strategia principale
del Paese. Invece di vantare l'assurdo 75 per cento dei beni culturali
mondiali e di discettare della cultura come «volano» dell'economia,
delineiamo un grande progetto di sviluppo che includa la cultura
e attuiamo qualche impresa, esemplare e concreta. Occorre spiegare
agli italiani come il ministero, più che un ostacolo, sia un mezzo
per progettare uno sviluppo compatibile della patria, che non dissipi
i beni pubblici e li trasmetta ai figli. Se la valorizzazione del
patrimonio deve essere innanzitutto storica e artistica, non servono
cifre enormi: per didascalie che raccontino i contesti delle opere
mobili e che facciano apprezzare quelle immobili; per portali informatici
che raccontino città, campagne, la patria tutta, che ancora mancano.
Mostrare singoli feticci o cumuli di capolavori, senza ricerca e
racconto alcuno, significa intrattenere diseducando.
In
tempi di penuria tutto deve essere finalizzato a un progetto, unendo
i mezzi dello Stato, degli enti locali e dei privati, condividendo
progettazioni, iniziative e gestioni. Bisogna imparare a valutare
il piccolo ma utile, come aggiustare una gronda a Ercolano, che
notizia non fa ed evita un disastro. Alcuni problemi da affrontare?
L'Aquila: dove bisogna tornare a una gestione normale; Pompei: troppe
api intorno al miele europeo e tra queste la costosa Invitalia,
per cui barra dritta seguendo il progetto varato dal ministero;
la grande Brera, che è senza un euro e ne servono 150 milioni, per
non dire della ristrutturazione e dei debiti degli archivi, del
museo di Reggio da finir di pagare... Signor ministro Ornaghi, le
auguro buona fortuna. Il Consiglio superiore è un grande deposito
di esperienze e pareri e da esso può attingere prima di prendere
decisioni. Generalmente è stato negletto."
Corriere della sera 22/11/ 2011
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